Memoria Cagliaritana. Alla Marina magico l’ingresso del Cinema Eden_di Attilio Gatto

Magico l’ingresso dell’Eden, con specchi deformanti, porte da saloon, a proteggere la sala, e colonne tra le poltrone che, se te ne capitava una davanti, il film proprio non lo vedevi. Ti restavano mezze figure e visi sfuggenti e frasi volteggianti da attribuire indifferentemente a questo o quel personaggio.

Ti restava l’incanto del cinema in una Cagliari affamata di storie, che però faceva la storia. Alla Marina il centro era via Cavour, con il suo bar, i ristoranti, due tabaccai e la pescheria dove triglie e orate e pagelli ti guardavano con occhio acceso, competente, da critico cinematografico.

Pesci freschi, così freschi che da un momento all’altro avrebbero potuto prender vita, saltellare come in un film d’animazione, per fare la recensione del quartiere che s’affaccia al mare. Perché ogni uomo, ogni donna lì aveva dentro un romanzo, ch’era già una sceneggiatura, un racconto corale, nelle corde del neorealismo, ma anche fantastico, surreale, imprevedibile e sorprendente, come un intreccio di Buñuel. E le domande? Quante domande! Era la Cagliari degli anni sessanta, non lontana dai tempi di guerra. E perciò non potevi non chiederti quanta di quella umanità aveva attraversato i bombardamenti, i rifugi, la paura, il dolore della perdita! Quanti erano sfollati dopo aver perso la casa! E la ricerca del cibo, le file, i pescatori che imbarcavano corpi dispersi in mare, perché avessero degna sepoltura! Se questo non è un film, giocato tra il comico e il tragico, che cos’è? Era un popolo di attori quello che andava al “Due Palme”, la sala della Manifattura Tabacchi.

Visi scavati e massaie sorridenti e ragazzi che si portavano la merenda da casa, azzannando il panino mentre magari passavano le immagini del gran ballo del “Gattopardo”, intagliate da Luchino Visconti come fossero una scultura di Benvenuto Cellini. Sinonimi della vita che comunque si riconoscevano nei contrari della finzione. I favoriti del Principe di Salina non si vedevano neanche nel salotto di Via Roma, ma le immagini in movimento li rendevano familiari, di casa. Allo stesso modo in cui erano di casa i musicarelli con Gianni Morandi e Laura Efrikian, insieme all’immancabile Vittorio Congia.

con Vittorio Congia, Gianni Morandi, Fabrizio Capucci, Stelvio Rosi.
E anche quelli con Marisa Sannia, che nel ‘67 interpretava “Stasera mi butto”, con Rocky Roberts (suo il successo della celebre canzone, firmata da Amurri e Canfora), Lola Falana, Giancarlo Giannini, Nino Taranto, Enrico Viarisio, Caterina Boratto, Enrico Montesano, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

I musicarelli andavano in scena all’Olympia, dove l’ombra dei portici attenuava l’oscurità della sala. C’era la folla e la maschera non aveva un attimo di respiro con quella sua torcia che, squarciando il buio, indicava la poltrona libera. La maschera era davvero protagonista dell’universo che si chiama cinema. Controllava il traffico degli spettatori con l’autorevolezza dell’esperto, di chi aveva visto tanti di quei film che poteva promuovere o bocciare attori e registi, scenografi e musicisti. E torniamo al critico, all’intellettuale. Spesso egli sceglieva il primo spettacolo e si fermava a una delle ultime file. Sala semivuota. Silenzio. Neanche un sussurro. Con le immagini ecco il sogno, o meglio una certa realtà che sconfigge la realtà. Gioco di specchi deformanti, come quelli del glorioso Eden.