Anna Maria Pierangeli, la diva cagliaritana che rifiutò di sposare James Dean_di Attilio Gatto

Cagliari che s’avvicinava alla nevicata del ‘56, sicuramente commentava la tragedia che aveva scosso la gente del cinema. Il ribelle di Hollywood, James Dean, aveva perso la vita a 24 anni. Era il pomeriggio del 30 settembre ‘55. La corsa sulla Porsche 550 Spyder – “Little Bastard”, l’aveva chiamata, – lo schianto contro la Ford che tagliava la strada: si fermava la vita e sorgeva il mito del ragazzo in rivolta.

Ma in Sardegna il chiacchiericcio aveva un motivo di più, quell’Anna Maria Pierangeli, giovane e famosa attrice cagliaritana, ch’era stata il grande amore del celebre Jimmy. Gli occhi del mondo erano rivolti a lei, la bella italiana che aveva conquistato Beverly Hills e dintorni. Nel ‘54, quando si conobbero, Anna Maria aveva 22 anni, Jimmy uno di più. Durante le lunghe passeggiate sulla spiaggia “alla moda” di Santa Monica – quasi Costa Azzurra con “palme deferenti” – si erano piaciuti perché tutt’e due insoddisfatti dello star system, degli atteggiamenti studiati, delle biografie inventate da costruttori d’immagini e false coscienze.

Quelli che fabbricavano le doppie vite di attori come Rock Hudson, omosessuale che nell’immaginario del pubblico femminile doveva apparire “macho” senz’ombra di dubbio. Anche di James Dean si raccontavano amori gay. Nella Hollywood delle trasgressioni, la tormentata vita affettiva di Jimmy il ribelle, sulle labbra di attori e attrici, poteva essere passatempo che mescolava bugie e verità. E mettiamo pure che la storia tra Jimmy e Pier Angeli – così la chiamavano in America – fosse stata incoraggiata dagli agenti della Metro Goldwyn Mayer: comunque si era creato il rapporto, l’affetto, l’attrazione di cui solo loro conoscevano i confini.La passione, breve e intensa – durò un’estate, – per la giovane diva cagliaritana, spinse Jimmy a chiederla in moglie. Anna Maria c’aveva creduto, ma alla fine aveva scelto di lasciarlo, gettandosi nelle braccia di un cattolicissimo cantante italoamericano, Vic Damone. Jimmy no, era quacchero, e lei preferì evitare una “guerra di religione” in famiglia. Ma allo spettacolo del matrimonio lui non avrebbe potuto rinunciare.

Era lì, fuori dalla chiesa, con il giubbotto di pelle che Anna Maria gli aveva regalato. Era lì ad aspettare non si sa che cosa, forse l’ennesimo fallimento, l’ultima frustrazione di un ragazzo inquieto e irriducibile. Poi via con la moto, a tutta velocità, a cercare spazi, aria fresca, in cui spegnere il fuoco, contenere la rabbia di “Ribelle senza motivo”. “Rebel Without a Cause” è il titolo originale di “Gioventù bruciata” – regia di NIcholas Ray, con Natalie Wood, uscito nell’ottobre ‘55, un mese dopo la morte di Jimmy, – film simbolo non di una, ma di tutte le generazioni da allora ad oggi. James Dean è Jim Stark, ragazzo indomabile di una società americana oppressiva, la stessa che gli assegnerà la Nomination postuma all’Oscar, nel ‘56, per “La valle dell’Eden”, diretto da Elia Kazan. “Rebel Without a Cause”, “Gioventù Bruciata” si potrebbe paragonare a un libro come “Il giovane Holden” di Salinger. A ognuno i suoi riferimenti culturali. Ha scritto Oriana Fallaci:”Quando, dopo aver assistito al matrimonio di Anna Maria, Jimmy si allontanò strombettando sulla sua motocicletta, era tanto disperato che avrebbe potuto ammazzarsi. Due volte uscì di strada e si rialzò riprendendo la corsa.” E ancora:”Le gioie che gli altri prendono con misura lo rendevano ebbro fino a togliergli il controllo. Tutti i sentimenti erano portati da lui al parossismo. Quando amava, amava completamente. Quando soffriva, soffriva nel più straziante dei modi.”Era novembre. A Cagliari quel matrimonio avrà fatto epoca.

È facile immaginare che, sotto i portici di Via Roma, ai tavolini dei caffè, signore e signori con pellicce e paltò si scambiassero notizie di prima mano, confidenze e rivelazioni, sulla ragazzina figlia dell’importante architetto marchigiano – amico di Enrico Mattei, – sull’adolescente che già conquistava tutti con il sorriso disarmante. Minuta, elegante, aveva un viso, uno sguardo, un modo di fare che apriva le porte al mondo. E poi sapeva quel che voleva. La famiglia si era stabilita a Roma e lì Anna Maria, con la sorella gemella Maria Luisa – Patrizia sarebbe nata nel ‘47 – attraversò anche i fantasmi della guerra. Ma arrivò il cinema, come una giornata di sole dopo la notte dell’occupazione tedesca e delle bombe alleate. Aveva 16 anni, studiava arte, voleva iscriversi alla facoltà di architettura sulle orme del padre, quando un signore di bell’aspetto la fermò in Via Veneto dicendole:”Posso guardarla?” Era Vittorio De Sica, il divo dei telefoni bianchi, divenuto ancora più famoso con i capolavori del Neorealismo. “La dolce vita” era di là da venire, ma la strada delle star e dei paparazzi era già il luogo del mondo che cambia. In realtà la ragazza cagliaritana era sotto osservazione: l’aveva notata il regista francese, russo d’origine, Leonide Moguy, in una casa che il padre di Anna Maria aveva progettato, quella della diva del cinema muto Rina De Liguoro. Moguy doveva dirigere il film che De Sica doveva interpretare, “Domani è troppo tardi”(1950).

Finalmente avevano trovato Mirella, la giovane protagonista. E così Anna Maria, bella e brava, debuttò sul grande schermo. Il film, presentato alla mostra di Venezia, fu un successo, incassò quasi ottocento milioni di lire, e – caso unico per una debuttante – la ragazza cagliaritana si aggiudicò subito un nastro d’argento. Biglietto da visita per varcare l’oceano. Hollywood s’innamorò di Anna Maria a prima vista. E a lei piaceva essere al centro dell’attenzione, ammirata e vezzeggiata. A Cagliari, sulla spiaggia del Poetto, sotto l’ombrellone, signore e signori quasi certamente leggevano le riviste di moda e di cinema. Qualcuno guardava anche la copertina di “Life”, dove campeggiava lo splendido sorriso che la ragazza Anna Maria, detta Pier, aveva mantenuto intatto dagli anni trascorsi in Sardegna. Con quel sorriso, prima di Jimmy Dean, aveva conquistato Kirk Douglas. E aveva incantato tutto il mondo del cinema. Dopo l’esordio con “Teresa”, film diretto dal Premio Oscar Fred Zinneman, recitò accanto a Paul Newman ( “Il calice d’argento”, 1954, e “Lassù qualcuno mi ama”, 1956 ). E ancora “L’immagine meravigliosa” di Richard Brooks, “I Lupi mannari” con Gene Kelly, “Sombrero” con Ricardo Montalbán e Vittorio Gassman, “La tortura del silenzio” di Guy Green. Fallì invece il progetto di “Romeo e Giulietta” con Marlon Brando. Ma arrivò il riconoscimento del Golden Globe, miglior promessa femminile.

Tutto bene, a gonfie vele. Verso la strada del successo. Ma ecco, all’improvviso, il passo falso. Lasciò la MGM e la sua carriera, senza la protezione della grande casa cinematografica, divenne difficile, in quel mondo folle, scintillante e spietato. Al giornalista Lino Manocchia, prima di lasciare Hollywood, l’attrice cagliaritana ha detto:”In America, pur se guardata con disdegno, ho attraversato qualche momento giusto. Ma ora basta. In Italia ritroverò tutto quanto ho perso sino ad oggi”. E Anna Maria tornò a casa. Fallito il primo matrimonio, si sposò nel ‘62 con il compositore Armando Trovajoli. Ma anche quest’ultimo matrimonio naufragò. Due volte divorziata, due figli dai due mariti, Perry e Howard Andrew. Cominciò a fare avanti e indietro tra Los Angeles e Roma. I giornalisti italiani le chiesero come mai fosse tornata in patria. Lei rispose che aveva ricevuto “proposte interessanti da produttori e registi “. Nei cinegiornali dell’epoca, appariva sicura, divertita, scherzava con la stampa. “La mia Roma!”, esclamava felice. Importante per capire il suo carattere, il suo stato d’animo, un’intervista a Parigi: colta, disinvolta, padronanza della lingua francese. Davvero una personalità, una diva. Pronta a fare altri film e li fece. Ma la ricerca di un nuovo equilibrio non le riuscì. La ragazza dal sorriso disarmante che aveva conquistato Hollywood perse l’orientamento. Arrivò la depressione. Anna Maria Pierangeli è morta per una overdose di medicinali nel 1971. Aveva 39 anni. Se n’è andata a settembre, come James Dean. Anche lei giovane, non come Jimmy, ma appena tre anni più di Marilyn Monroe. Tutto è accaduto da quelle parti. Hollywood, California. Nell’auto di Jimmy trovarono un foglio con la formula matrimoniale e, scritto a penna, il nome di Anna Maria. Tra le cose di Anna Maria c’era una lettera in cui rivelava che l’unico grande amore della sua vita era stato Jimmy. È sepolta in Francia, a Ruens-Malmaison, vicino Parigi, dove vive la sorella gemella, l’attrice Maria Luisa Pierangeli, in arte Marisa Pavan, che fu nominata all’Oscar nel ‘56 per “La rosa tatuata”, il film della prestigiosa statuetta ad Anna Magnani. Fu proprio Marisa a ritirarla dalle mani di Jerry Lewis. “Se Anna fosse qui sarebbe così contenta”, disse rivolta alla platea hollywoodiana. E poi telefonò a Roma, ad una Magnani incredula e raggiante. E probabilmente pensò alla sua carriera e a quella di sua sorella. Anna Maria Pierangeli, una diva da Oscar che ha perso la strada di Hollywood e della vita. La sua morte fu un assoluto colpo di scena – dolore e affetto – che sorprese Cagliari e il mondo. Se n’era andato un pezzo di storia della città, ci aveva lasciato una donna incantevole, un’attrice di talento – presenza, voce, naturalezza, misura – che aveva interpretato più di trenta film. Lei e lui, due stelle. Jimmy splende nel firmamento del cinema. Ma splende anche il sorriso di Pier, il fascino di Anna Maria.