Pur nelle diversità Maradona e Gigi Riva_di Attilio Gatto

No, non è un balcone di Napoli. E nemmeno di Buenos Aires. La gloriosa maglia di Maradona, quella del Boca Juniors, giallo e blu, come un quadro di Miró, in un palazzo di Tarcento. Nord-Est, 20 chilometri da Udine, 80 dall’Austria e altri 20 dalla Slovenia: il mito del Pibe de Oro, che ha lasciato orfani milioni di tifosi in tutto il mondo, abita anche qui. Perché Maradona non dovrebbe andare d’accordo con quell’altro luogo leggendario, la grande Mitteleuropa? Patria di scrittori, artisti, pittori, di avanguardie che dall’alto della loro creatività non avrebbero rinunciato ad accogliere nella loro squadra il talento, l’estro, l’arte del più famoso numero 10 che abbia percorso un campo di football.

Di lui Carmelo Bene disse che valeva più un suo assist del teatro di tutto il pianeta. Il genio irriverente del famoso mattatore salentino puntava molto spesso sulla provocazione, ma il tocco, le accelerazioni, i colpi di testa e i beffardi colpi di mano di Diego meritavano il guanto di sfida. Anche perché tutta la vita del campione argentino è stata una sfida, una corsa al limite, una storia di spericolate accelerazioni e di frenate dentro un tunnel. Però che genio, che classe! “Maradona è meglio ‘e Pelé”, dicevano a Napoli, negli anni d’oro del Pibe,

Ma lui rispettava Pelé come un grande campione. E certamente rispettava anche Gianni Rivera, quel fantastico numero 10 del Milan e della Nazionale che a Messico ‘70 siglò il goal del 4 a 3 della leggendaria Italia-Germania, nella semifinale mondiale. E poi Baggio, Platini, Del Piero, Totti, Messi: la grande compagnia dei numeri 10 che in campo sorprende per lo spettacolo, come il monologo di un mattatore, come un Vittorio Gassman che affronta Shakespeare al meglio delle sue capacità. E c’è anche un numero 11 che ha attraversato la strada del mito come “un eroe della gloriosa epoca degli spaghetti western”.

Per Luca Pisapia nel libro “L’ultimo hombre vertical”, Gigi Riva “è il pistolero senza nome e dagli occhi di ghiaccio, l’animo colmo di coraggio e il sinistro devastante. È Rombo di tuono, ‘che ammiro come l’unico autentico eroe della nostra pedata’ scrive il sommo cantore dei miti e dei riti Gianni Brera”. Pur nella diversità, sono straordinarie figure di talento e visione, difficoltà e genio. Lo era Diego Armando Maradona. E ora Zico lo definisce “Il più grande della mia generazione”. Dice il brasiliano:”Grazie Diego per tutto quello che hai fatto per il calcio e per l’amicizia. Riposa in pace e possa Dio confortare la tua famiglia”.

E come dimenticare quel colloquio a L’Avana, con Fidel Castro che gli chiedeva:”Quando colpisci la pelota di testa non ti fa male il capo? Qui la pelota significa solo baseball..Ma dimmi, dimmi..come li calci tu i rigori?” E Maradona serio, meticoloso:”Prendo due metri di rincorsa e alzo la testa solo quando appoggio il piede destro ed il sinistro sta per colpire il pallone. A questo punto scelgo la direzione.” Geometrico, calcolatore, a dimostrazione che genio e sregolatezza è frutto della preparazione, dell’intelligenza.

Da Cuba all’Argentina sembra evocare quell’altro mito, il più grande, la figura di Che Guevara tatuata nel braccio di Maradona:”Io sono sinistro, tutto sinistro: di piede, di fede, di cervello”. Perciò Diego Armando Maradona, campione anche di sofferenze e disavventure, è stato adorato, venerato in ogni angolo della Terra. A dimostrarlo una maglia del Boca Juniors, come una bandiera a Nord-Est, Friuli. Così anche a Sud-Ovest, Sardegna, dove sventolano i colori rossoblu di Gigi Riva. E anche quelli di Ricciotti Greatti, splendido numero 10, friulano di Basiliano, cresciuto nello Spilimbergo, che accanto a Rombo di Tuono ha vissuto avventure mitiche a Cagliari, sulle tracce dello scudetto rossoblu.





