Maggio 28, 2023

La società sarda in età spagnola: come si finanziava il Patrimonio Regio_di Francesco Carboni

Nella Sardegna del XVII secolo il diritto di naufragio e la presa di schiavi costituiva un cespite non trascurabile del Reale Patrimonio. Lo storico Bruno Anatra osserva che i genovesi si impongono in Sardegna nel traffico portuale associati tra loro e con esponenti dell’amministrazione e talvolta dell’aristocrazia locale. Il traffico da e per la Sardegna dapprima  vede protagonista il naviglio francese, essenzialmente provenzale. Dopo l’embargo subentrano gli olandesi ed i liguri che, nella metà del XVII secolo, trasportano il grano in Catalogna. Negli anni 1660-1665 torna in massa la flottiglia francese che monopolizza circa il 50%  del traffico di Cagliari marginalizzando  gli olandesi. In naviglio sardo é l’espressione del piccolo cabotaggio costiero. 

 Nel 1670 vi é il tracollo della produzione di grano: la crisi si somma con la scelta, di liguri e  francesi, di disertare la Sardegna per andare a caricare in Barberia. A fine secolo il commercio sardo e mediterraneo si riorganizza per circuiti a più breve raggio col protagonismo degli scali minori e dei piccoli operatori locali. E’ da tener presente che la Francia intraprende lo stato di belligeranza dal 1635, entrando nella Guerra dei trent’anni. 

Vittorio Angius (v. Dizionario Casalis) ha studiato gli sbarchi dei barbareschi a Terranova avvenuti nel 1418: essi erano diretti a Telti per saccheggiare e fare prigionieri gli abitanti. l re Ferdinando II d’Aragona il 30 maggio 1515, da Medina del Campo, spedisce precise le istruzioni a don Angelo di Villanova affinché  si  accordi  la franchigia per tre anni ai villaggi di Siniscola, Torpé e Solay, saccheggiati dai turchi.

Ferdinando II d’Aragona

Pietro Martini parla delle invasioni dei barbareschi a Siniscola nel 1514 quando vennero fatti schiavi un centinaio di abitanti. Nel 1520 avvenne uno sbarco in Gallura ove fu devastato il villaggio di Caresi. Nel 1549 ci fu l’invasione e il saccheggio di Orosei: venne catturato un cristiano rinnegato; il suo denaro ed il suo anello furono sequestrati dal Capitano di giustizia che li consegnò all’ordinario della Diocesi: gli Offiziali      dell’inquisizione peraltro ne disposero la confisca come cose appartenenti ad un apostata. Il Procuratore reale chiese inutilmente che fossero trasmessi al Patrimonio Regio.

Ancora il Martini scrive che nel 1553 la flotta di Dragut, dopo aver invaso la Corsica, assalì  Terranova mettendola a ferro e fuoco prima che Gerardo Zatrillas, governatore del Logudoro, ostacolasse con la cavalleria  ulteriori saccheggi. Nel 1555 Porto S. Paolo subì lo sbarco di un centinaio di turchi: Francesco Casalabria, che capitanava la cavalleria della Gallura, li attaccò uccidendone una quarantina e facendone prigionieri quattro (poi riscattati per 600 scudi) mentre gli altri fuggirono.

Nel 1562 un legno turco naufragò a Tavolara: l’equipaggio fu decimato dai sardi che ne fecero prigionieri alcuni e liberarono 30 schiavi cristiani ridotti in catene sul naviglio. Nel  1570 una galera turca fu attaccata a Posada da alcune piccole barche: la nave si incagliò e venne predata. Nel febbraio dello stesso anno Siniscola fu invasa un’altra volta: Bernardino Puliga attaccò i turchi mentre si ritiravano con i prigionieri. Venne così  recuperato il bottino, furono liberati i prigionieri e prese tre bandiere. Per tale impresa il Puliga ebbe da Filippo II il titolo di cavaliere.

Nel 1587 Francesco e Giorgio Casalabria difesero la Gallura: quest’ultimo era capitano delle marine di Gallura e di Terranova e custode delle torri. Mentre i turchi stavano attaccando la torre in costruzione a Longonsardo, Casalabria  la difese perdendo anche la vita. Il primo gennaio 1588 il viceré Moncada conferì l’ufficio di capitano a Gavino Casalabria, figlio di Francesco, durante la minore età del figlio dell’ucciso Giorgio.

Sul ‘600 il Martini non fornisce molte notizie: si limita a citare l’Angius, l’Aleo e il Manno. Nel 1615, poiché si preparava una forte spedizione turca, il viceré fece acquistare armi a Milano pagando coi denari della Santa Crociata. Nel 1623 le galere di Tunisi e di Algeri assalirono Posada sguarnita delle opere di difesa per l’imprudenza del barone Portugues.

Ma come si comportava l’apparato delle Procurazione reale in tale  difficile contesto? Il 24 febbraio 1643 il viceré don Fabrizio Doria fa riunire il Consiglio di Patrimonio ove fa presente che, data l’abbondanza del grano nell’anno in corso, é aumentato il contrabbando nelle Incontrade di Gallura,  Sorso e  Terranova. Le diligenze straordinarie e quelle usuali  non hanno potuto porre rimedio  al danno a causa delle cautele usate dai contrabbandieri e degli intrighi di taluni  ecclesiastici  che non hanno timore della giustizia secolare.

Giacomo Doria “gentiluomo” genovese, residente a Sassari si propone di reprimere queste frodi. Egli desidera continuare ad operare al servizio di Sua Maestà per ostacolare le numerose frodi, che si commettono con imbarchi segreti di grano e di altri  generi proibiti senza licenza, con cui si reca grande danno al Reale Patrimonio: danno particolarmente rilevante nell’anno passato in cui il raccolto di grano é stato abbondante in tutto il Regno.

Per questo motivo presenta un documento di venti punti. In particolare si offre di tenere tre vascelli (ed anche un numero maggiore se sarà necessario), e tra questi  una feluca armata, per sorvegliare i porti e le cale di tutto il Capo di Logudoro da Terranova a Bosa. I vascelli fungeranno da guardie reali, come è d’uso nei Regni di Napoli e Sicilia, per evitare  qualsiasi frode di imbarchi e regalie che si commettono a danno del Reale Patrimonio. Inoltre a questo fine garantirà la presenza, per terra e per mare, di guardie nei porti e nelle cale perché possano fare le diligenze necessarie contro qualsiasi persona. 

Giacomo Doria  però chiede l’attribuzione, in detti luoghi, del potere e dell’autorità di delegato di Procuratore reale sopra tutte le frodi che nel futuro verranno perpetrate e per quelle verificatesi in passato (qualora non avessero provveduto all’instaurazione della causa il Procuratore Reale od alcuno dei suoi ministri). Il 27 febbraio 1643 viene approvata una risoluzione con la quale si accetta il progetto, formulato  da Giacomo Doria, di sorvegliare le acque di Gallura con tre suoi vascelli per evitare i frequenti imbarchi di contrabbando.

Nel corso del ‘600 vediamo alcuni casi naufragio e di presa. Le navi naufragate sono vendute all’incanto, una volta recuperate in presenza di una persona nominata dal Maestro razionale e dallo scrivano della Procurazione Reale  della Incontrada.  L’inventario dei beni deve essere spedito alla Procurazione Reale specificando le robe, le mercanzie,  i denari e le persone (mori e turchi) oggetto di apprensione. 

L’organizzatore del recupero della nave naufragata gode della metà del valore della nave, mentre l’altra metà deve essere versata al Reale Patrimonio. In genere la procedura  seguita dal commissario viene indicata dal Procuratore reale: il commissario deve trasferirsi in loco con i ministri ed uno scrivano della Procurazione Reale (in genere un notaio) e, qualora sia necessario, un esperto del settore; quindi vengono spediti gli atti alla Procurazione Reale con un corriere di fiducia; i colpevoli di frode devono essere tradotti a Cagliari sotto una scorta sicura.

La presa degli schiavi mori ricorre spesso negli atti di naufragio. Gli schiavi devono essere trasferiti a Cagliari, pagando le spese per il vitto, per i cavalli ed una diaria agli uomini che li accompagnano: per un uomo a piedi si corrispondono 4 soldi al giorno, per un uomo a cavallo 8 soldi, per il mantenimento di un moro ci vuole mezzo reale. Una volta a Cagliari gli schiavi sono venduti all’asta.  Coloro che fanno  schiavi dalla presa di navi turche e che non li denunciano al Regio Patrimonio incorrono nelle pene previste dalle Regie Prammatiche. Il trasportatore di mori a Cagliari deve obbligarsi – prestando fidanza  (una garanzia fideiussoria) – a portarli al Consiglio del Patrimonio.

La nave che non può essere assoggettata a restauro viene smantellata sul posto recuperando i chiodi ed il legname; gli alberi delle navi sono spesso donati agli ordini religiosi che ne fanno richiesta e che li riutilizzano nelle costruzioni delle chiese e dei conventi. Il cordame e le sartie (xarxas), gli strumenti di bordo e l’attrezzatura (arreos), le ancore, diventano proprietà del Regio Patrimonio.

Una presa del 1677 può servire da esempio indicativo. In data 19 settembre 1677 il procuratore fiscale patrimoniale – su ordine del procuratore reale – in compagnia del notaio, dell’alguazile del mare e dei testimoni si trasferisce nel molo della città di Cagliari per fare l’inventario della nave presa e dell’attrezzatura: alberi, sartie, vele che sono usate e maltrattate dalle intemperie, due pezzi d’artiglieria rotti, tre ancore di due marras ognuna, tre gumaras ed un pezzo, tutte usate, cinque remi della nave, tre cubas vuote per acqua, una cuba di vino, una barchetta con tre paia di remi. 

Un altro giorno i ministri – col patrone, il  pesatore reale ed alcuni facchini (bastaxes) del peso – salgono sulla nave per pesare il formaggio che si fa sistemare nella chima cubierta. In seguito i ministri, col patrone Alessandro Acame ed Agostino Leony, provvedono ad effettuare l’estimo e la valutazione dell’olio che si trova in recipienti (chiamati cubas, media cubas e condiotas) a bordo della nave. Il procuratore fiscale fa deferire il giuramento agli estimatori, quindi  iniziano le operazioni di ispezione ed estimo. Un altro giorno ancora il procuratore fiscale patrimoniale ordina all’alguazile del mare di convocare sulla nave due patroni di nave che si trovano a Cagliari: sono due genovesi che prestano il giuramento e provvedono ad effettuare un’ispezione e valutazione della nave presa.

L’olio, pari a 7.050 quartanas, é venduto a 6 reali la quartana. Il formaggio, 23 quintales, viene venduto a  6 lire al quintale. Alla Regia Corte spetta il 4% della preda: sono 600 scudi. Il prospetto dei naufragi nel XVII secolo si articola con la precisazione di data, luogo, tipo d’imbarcazione,  nazionalità,  merci  trasportate,  patrone addetto al recupero ed al ripescaggio,  vendita del prodotto del naufragio e relativo ricavo.

Il lavoro di recupero delle navi naufragate talvolta incappa anche nelle tempeste del contenzioso giudiziario. Il 13 ottobre 1711 nel Tribunale del Reale Patrimonio  si discute se ammettere a “composizione” il capitano Ladraña a fronte del pagamento, alla Reale Cassa, di 550 scudi compresi in essi il quinto spettante ai Ministri del Reale Patrimonio. Si propone di non perseguire più il Ladraña né altri per ragione di una frode, salvo però il diritto del terzo per la Reale Cassa. Il Ladraña e i suoi marinai  però non devono chiedere alcuna remunerazione  per il lavoro di “sacar” le robe dell’acqua e condurle nel porto di Cagliari.

 Il capitano Ladraña si difende davanti al Tribunale affermando che qualche persona istigata lo ha accusato di frode nel recupero della nave naufragata a Tavolara nel periodo di dicembre-gennaio passati. Peraltro é falso che egli abbia introdotto  a Cagliari qualcosa della nave: egli ha liberato dal mare tutta la roba con l’ausilio di 100 uomini. Il “disguido” ora gli impedisce di navigare mentre i noli e la roba per cui é accusato sono di poco valore soprattutto  se confrontati con quello che ha recuperato e portato all’asta (almoneda) a beneficio del Reale Patrimonio. Egli pertanto supplica si ammetta la transazione per evitargli ulteriori molestie.

Nella risoluzione si ammette la transazione per essere notoria la emulazione dei suoi marinai che lavorarono anche con la burrasca invernale, mentre la roba era rammollita e mezzo persa ed in considerazione del fatto che quanto recuperato si vendette a 400 pesos. In tal modo  il  capitano  evitò di esporsi al pericolo della prova. 

E’ indubbio il profitto che dai naufragi e delle prese derivava per le casse reali. Abbiamo anche notizia di veri e propri atti di “pirateria” da parte dei sardi. Così ad esempio nel  1708-1710 il conte di Sietefuentes, che fu viceré Governatore generale delle galere sarde, operò alcune scorrerie sulle spiagge africane prendendo bottino e schiavi. E tutto ciò spesso avveniva per la grandezza di Dio e ………  per le casse dello Stato.

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