Aprile 25, 2024

Sardi a Londra: la storia di Cecilia_di Daniela Fois

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Esistono diverse stime sul numero di italiani nel Regno Unito. Secondo l’ultimo censimento del Consolato Generale d’Italia a Londra, nel Dicembre 2021 si contavano quasi 450 mila italiani residenti in Inghilterra e Galles, con un’alta concentrazione nella capitale britannica (33,52%). Di coloro effettivamente nati in Italia (221.196), il 12% proviene dalla Sardegna. Si parla quindi di quasi 11 mila sardi che hanno sentito la necessità di insediarsi nel sud di un’altra isola, stavolta nell’Oceano Atlantico. Una fetta non indifferente della popolazione isolana, che nonostante la lontananza conserva l’amore per la propria terra d’origine come testimonia la nascita, nel 2017, della Sardinian Embassy of London, riconosciuta ufficialmente anche dalla Regione Sardegna, con il suo lavoro di aggregazione culturale.

Cosa spinge, quindi, così tante persone a muoversi verso la capitale britannica?

Cecilia Ena, 28 anni, racconta la sua esperienza, la quale comincia nel gennaio 2020, in un pub del Surrey, a 40 minuti dal centro di Londra. Al tempo ancora iscritta in Beni Culturali e Spettacolo all’Università di Cagliari, decide di lanciarsi una sfida e mettersi alla ricerca di nuova motivazione, lasciando indietro affetti, luoghi, tradizioni. «I primi tempi avevo una folle nostalgia di casa. L’idea di ricostruirmi una vita da zero, lontano da familiari e amici era già di per sé difficile e il lockdown non ha fatto altro che amplificare lo sconforto». Nonostante ciò, anche al liberi tutti che le avrebbe permesso di rientrare in patria dopo l’isolamento, decide di restare in Inghilterra. Si sposta verso il centro della grande metropoli, dove le si apre il mondo di possibilità di cui tutti le avevano parlato.

La prima che coglie è quella dello studio. «L’iscrizione all’università non era inizialmente in programma, ma quando ho trovato il corso di laurea perfetto non ho potuto lasciarmi sfuggire l’occasione» racconta. Il ventaglio di opportunità di studio garantite a livello universitario è, secondo lei, una delle caratteristiche che contraddistingue il Regno Unito, attirandovi persone da ogni parte del globo. «Esiste un indirizzo di studi per tutto, lauree che vanno dalla recitazione teatrale alla composizione musicale. Io ho sempre voluto formarmi nel campo del business per l’industria musicale, ma in Italia nessun corso di laurea me lo ha mai permesso. C’è poi da dire che in Italia lo studio è ancora troppo teorico e, tirocini formativi a parte, lascia ben poco spazio alla pratica sul campo e al confronto laboratoriale con professori e compagni. Qui sento di stare imparando davvero».

Poco dopo è arrivato anche il primo lavoro, poi il secondo, in un susseguirsi di soddisfazioni che le hanno restituito quella propositività consumatasi nella vana ricerca lavorativa in Sardegna. «Ho riscoperto la meritocrazia. In poco tempo è bastato l’impegno per essere promossa da semplice barista a team supervisor in una piccola catena di caffetterie della metropoli. Non è un traguardo da poco».

Ma la maggior gratificazione che Londra abbia dato a Cecilia riguarda il suo più grande amore, la musica. Da qualche mese, è infatti diventata la resident DJ – ovvero la DJ principale della serata – del Red Eye, un evento di musica house melodica progressiva che si tiene una volta al mese al Village 512 di Londra. A Cagliari, gli anni di studio e il talento non bastavano. «C’erano le feste private e quelle universitarie, ma era davvero difficile farsi strada. Se fossi rimasta in Sardegna sento che avrei abbandonato questo sogno, perché era chiaro che le possibilità di crescere fossero nulle». Felice, racconta di come in Inghilterra l’opportunità di fare musica dal vivo le sia quasi piovuta dal cielo. «L’amico di una collega lavora nel settore, così quando gli ho inviato un demo, mi ha proposto di provare a suonare al primo evento. Ora suono nello slot principale della serata, dall’una alle quattro del mattino, e non mi sembra vero di poter chiamare la mia passione “lavoro”».

Tuttavia non è sempre stato tutto rose e fiori in questi suoi anni londinesi, spiega. Per quanto forte possa essere la sua determinazione, Cecilia, che da 7 anni convive con la diagnosi di sclerosi multipla, deve anche tener conto delle necessità del proprio corpo. «Ammetto di non averci pensato quando mi sono trasferita, talmente era impellente la necessità di trovare nuovi stimoli e occasioni di crescita. Solo dopo il lockdown, quando ho capito che volevo restare e non potevo più farmi seguire a distanza dai medici della mia regione, ho deciso di cercare un centro locale che trattasse la mia malattia» riferisce serenamente. «Ho avuto la grande fortuna di trovare dei medici molto preparati e attenti, oltre che un sistema sanitario che mi semplifica tantissimo la vita».

Conciliare tre lavori (incluso quello da DJ), studio e malattia, riservando spazio anche per affetti e vita sociale, non è un’impresa facile. Per fortuna però, l’università anglosassone tiene in alta considerazione il lavoro indipendente e permette a tutti di accedere alle lezioni registrate nel caso non si possa garantire la presenza. «Basta essere in aula una volta alla settimana per i seminari obbligatori, per il resto del tempo spetta a me organizzare lo studio come meglio preferisco». Grande aiuto arriva anche dai manager disposti ad ascoltare le esigenze dei dipendenti quando creano i turni lavorativi, come tiene a sottolineare.

Cecilia nomina più volte l’importanza della meritocrazia, di un sistema che valuti l’individuo sulla base di ciò che sa effettivamente fare piuttosto che delle qualifiche formali, che spesso sono solo infarinature teoriche e poco indicano il livello di competenza pratica. Ed è questo che le impedisce di tornare nella sua amata Sardegna che pur tanto le manca. «Resterà sempre la mia terra, continuerò sempre a sentirmi sarda» dice, contenta di avere sotto casa una bottega di cibo italiano e sardo che le permetta di riconnettersi ai sapori tradizionali quando terminano le scorte inviate da Cagliari. «Purtroppo però, quando mi chiedono se penso di tornare, la risposta è negativa» ammette dispiaciuta. «Mi accorgo di essere cresciuta più qui in tre anni che lì negli anni trascorsi tra l’adolescenza e l’università. Se mi immagino in Sardegna, mi vedo immobile senza opportunità di carriera. Restare a Londra è un’esigenza».

È grazie alla mentalità locale, la quale rende la società britannica accessibile e inclusiva, se attualmente Cecilia sente di aver trovato un equilibrio tra vita lavorativa, universitaria, e personale. Noi, dal canto nostro, non possiamo che augurarle un meraviglioso proseguo.

Foto in copertina di Claudia Cantarini

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