Montevecchio sta ancora a guardare_di Tarcisio Agus

Montevecchio, nonostante la sua grande storia vive la XV Giornata Nazionale delle Miniere in tono minore. L’importante momento culturale è stato possibile grazie alla buona volontà degli ultimi minatori dell’associazione “Sa Mena” che con spirito di abnegazione si sono resi disponibili per accompagnare, in visita esterna dei cantieri di levante , il pubblico pervenuto.
L’altra simpatica e curiosa iniziativa è stata organizzata dal comune di Arbus e del Ceas di Ingurtosu, che per il tramite dell’associazione sassarese “Quiteria”, da tempo impegnata nel riscoprire la vita e la storia del grande imprenditore sardo dell’800, Giovanni Antonio Sanna, ha riportato, con una puntuale ricostruzione filologica, i personaggi d’epoca nella storica miniera.
Quest’ultima proposta culturale ha dato a Montevecchio una nuova freschezza: la rappresentazione in costumi d’epoca dei personaggi che l’hanno resa grande. Iniziativa che meriterebbe d’essere istituzionalizzata e riproposta almeno nel contesto di importanti eventi.
Il lodevole lavoro di ricerca e di rappresentazione è però parso a molti fuori contesto, perché è avvenuto entro le mura della foresteria, che nulla ha a che vedere con i Sanna. Evidentemente è mancato ancora una volta il dialogo fra le due comunità di Arbus e Guspini, perché la splendida iniziativa meritava d’essere proposta nel suo contesto ottocentesco.
Il non dialogo penalizza una parte di sviluppo che meriterebbe ben altro atteggiamento.
Come per esempio il comune impegno con il coinvolgimento dell’IGEA S.p.a, ancora titolare di ingenti proprietà e detentrice di macchine ed attrezzature di miniera, in parte proveniente dal territorio, un tempo asportate per restauro con l’impegno di essere riconsegnate al territorio, ma ancora si attende. Si può partire da qui per ricostruire con i macchinari, che ancora sono disponibili, tutti gli ambienti e farne di Montevecchio ed Ingurtosu il più grande museo minerario a cielo aperto d’Europa. Il museo appunto, un’istituzione che tarda ancora ad arrivare, eppure altri siti senza tanti clamori hanno avuto il riconoscimento regionale e nazionale di museo minerario da tempo, come la grande miniera di “Serbariu” a Carbonia e quella di “Rosas” a Narcao. Il riconoscimento dell’istituzione museale consentirebbe una gestione stabile ed unitaria, con una programmazione pluriennale e l’apertura dei siti nell’arco dell’intero anno.

Montevecchio ed Ingurtosu sono legate dal più grande “cordone ombelicale“ attraverso il filone più lungo d’Europa. Le due miniere, guidate da due importanti ed illustri personaggi della storia mineraria dell’800, l’inglese Lord Thomas Alnut Brassey ed il sardo Giovanni Antoni Sanna, più volte hanno accarezzato l’unione, ma i diversi interessi economici le hanno tenute distanti per lungo tempo.
Solo il crollo dell’industria mineraria le ha riunite nel 1965, quando la Montevecchio acquisì le concessioni minerarie di Gennamari ed Ingurtosu della Pertusola, ma ormai era troppo tardi.
Forse l’unione culturale potrebbe essere oggi possibile, così come ci è stato insegnato dai minatori arburesi e guspinesi che da sempre hanno lavorato fianco a fianco, sia nei cantieri di Ingurtosu che in quelli di Montevecchio e combattuto per il raggiungimento di importanti traguardi sociali, di cui ancora le due comunità ne vanno fiere.

Giuseppe Urracci, stradino presso la linea ferroviaria Ingurtosu – Piscinas, ogni venerdì sera rientrava nella propria abitazione a Guspini e la domenica pomeriggio ripartiva all’imbrunire, con la sua inseparabile candela a carburo fra le mani, risalendo “Su mori de Arbus”, (il sentiero per Arbus). I compagni minatori arburesi, che lavoravano nei cantieri di Ingurtosu e Naracauli, lo attendevano ogni domenica pomeriggio subito dopo il passo di “Genn’è Frongia”, per intraprendere, assieme, il cammino che gli avrebbe portati, dopo una breve pausa presso la chiesetta campestre di Nostra Signora d’Itria, verso Ingurtosu e Naracauli, per essere pronti, alle sette del mattino del lunedì, a lavoro. Così avvenne per tante settimane, mesi e anni, condividendo gioie, dolori e fatiche che hanno contribuito, nel loro piccolo, alla crescita economica e sociale delle proprie famiglie e delle rispettive comunità.