Incontro con Virginia Saba autrice di “Tracce di felicità”: ” La “mancanza” è una porta per la nostra parte più profonda, più bella”_di Simonetta Columbu

Virginia sei una giornalista, conduttrice televisiva e scrittrice. Hai recentemente pubblicato il tuo secondo libro ‘Tracce di felicità’. Un viaggio interiore, profondo ed onirico che stimola e guida il lettore a trovare la luce, anche solo per un istante. Assodato che spesso l’autore è l’ultimo capace di collocare la propria opera, Tracce di Felicità possiamo definirlo un libro di filosofia?
Direi di consulenza filosofica, o meglio di filosofia applicata. Vivere è molto complicato e tutti noi quotidianamente dobbiamo affrontare delle difficoltà. Cerchiamo unità, armonia, bene, accettazione, eternità. Invece troviamo contrasto, fine, guerre, cattiveria, giudizio. Questo crea in noi profonde ferite. Oggi si va dallo psicologo, un tempo c’era il filosofo. Questo libro vuole essere un piccolo ricettario su come stare bene e come mettere al mondo sempre e comunque il meglio di noi stessi. E paradossalmente, come insegna Maestro Eckhart, mistico renano del 1100, questo accade soprattutto quando viviamo un grande “mancanza”. Già di per sé togliere gli orpelli permette di sfogliarci come carciofi e trovare la parte più profonda che custodiamo, quella più pura e “universale”. Ma pensiamo: se Beethoven avesse avuto l’udito, avrebbe composto ugualmente l’Inno alla gioia? Se Giuseppe Verdi non avesse sofferto per la morte dei suoi figli e di sua moglie, avrebbe ugualmente scritto il Va Pensiero? Severino Boezio, se non fosse stato ingiustamente accusato, imprigionato e condannato a morte, avrebbe scritto il testo più letto del Medioevo, il De Consolatione Philosophiae? Forse no. La “mancanza” è una porta per la nostra parte più profonda, più bella. Dove c’è dolore c’è salvezza. E’ il mistero della nostra vita. La banalità del vivere, invece, è dietro l’angolo, e spesso radice del male.

Come è nata l’idea del libro?
Mi sono domandata, durante i miei studi, se ci fosse una strada tracciabile e “logica” che potesse condurre alla nostra parte più spirituale (che logica non ha). Quella parte libera da egoismi, comune a tutti, quella che si fonda sul bene, sull’unità, sull’armonia, sulla bellezza, sull’amore incondizionato, sul non giudizio. Potremmo dire, una strada “illuminata” capace di condurci alla luce interiore, o al centro del labirinto, simbolo di questo cammino dall’inizio della storia dell’uomo. Accanto ad esempi classici, che vanno dai profeti a Madre Teresa di Calcutta, ho trovato molto significativa la storia del segretario generale dell’Onu degli anni ’50, Dag Hammarskjiöld, che fece costruire all’interno del Palazzo di Vetro una stanza della meditazione affinché tutti ricordassero che con la loro professione dovevano essere in grado di rappresentare non se stessi, ma tutto il mondo, soprattutto chi voce non ha. Quando ho letto il suo diario sono rimasta colpita dall’operazione filosofica che ogni giorno applicava su stesso. Oltre a scrivere una sorta di “esame di coscienza”, studiava continuamente, era pienamente consapevole. Oggi chi riveste posizione di potere insegue retorica, dialettica, ipocrisia alimentate dai social e ricerca di facile ed effimero consenso. Tutto il resto viene dopo.
Nelle pagine della tua opera ci parli anche attraverso le parole e il ricordo di grandi artisti e personalità, dal segretario generale dell’Onu Dag Hammarskjold che hai citato ora, a Beethoven, a Ezio Bosso, e tanti altri. Perché loro? Cosa rappresentano per te queste persone?
Quando si porta fuori il meglio di sé stessi, si fa del bene al mondo. Cito l’esecuzione del Chiaro di Luna di Ezio Bosso perché è la dimostrazione della differenza tra il fare le cose “con spirito” o farle seguendo la successione logica, in questo caso delle note. Ezio Bosso permette di capire che la logica non c’entra, quando ti commuovi e fai commuovere fino al midollo. E’ uno stato magico, estremamente contagioso, estremamente salvifico, che raggiungi e fai raggiungere solo se vivi uno stato molto particolare: se sei connesso con la tua luce interiore. Il linguaggio universale del quale parlo nel libro è proprio questo. Quello che arriva dritto, e redime. Una traccia di felicità in un mondo assurdo. Ho cercato di mettere su una grammatica per spiegarlo.
Capitolo Primo, restare autentici. È possibile?
Sì. Il problema principale è che, come direbbe Michel Foucault, siamo inscatolati dentro una società che ci plasma di continuo fino ad annullarci. E invece dovrebbe essere il contrario. Perché dobbiamo essere ciò che vogliono gli altri? Quando si è sempre e solo una risposta agli impulsi esterni restiamo degli ibridi: incompiuti e infelici. Se invece ci ascoltiamo e portiamo noi fuori la nostra parte migliore, quella che tutti abbiamo, mettiamo in circolo “qualità”. Faccio due esempi. Uno che riguarda il primo aspetto, cioè come gli altri ci vogliono. Si parla molto della libertà sessuale, in questi anni. Paradossalmente dare un nome ad ogni “tendenza” però, ci categorizza rendendoci schiavi di un’etichetta. Essere liberi significa innanzitutto “essere”, non essere definiti. In secondo luogo, sono molto triste quando le persone non sanno per quale motivo esistono. Molti vanno avanti per inerzia, e hanno dimenticato ciò che amano fare, le passioni, ciò per cui sono portati. Nietzsche diceva che noi siamo la somma di ciò che amiamo veramente, di ciò che ci attrae, ciò che ci ha dominato e nel farlo ci ha reso felici. Mettere in fila questa serie di oggetti venerati mostra, con la loro essenza e successione, chi siamo. Poi, dice ancora, occorre arrampicarsi su questa serie di passioni: “Perché la tua essenza non è nascosta in Te, ma immensamente al di sopra di Te”. (Da Schopenhauer come educatore, Nietzsche). Trovo bellissimo questo passaggio.
Capitolo secondo, quando comincia la vera scoperta?
San Paolo era caduto da cavallo. Spesso c’è un dolore. A volte c’è un incontro. Un dipinto che ci muove dentro qualcosa. Un libro illuminante. Persino l’amore ha grande forza sul nostro risveglio, perché ci disloca da noi stessi, ci fa essere “l’altro”. Se ci pensate, quando amiamo, i colori sono più belli, sappiamo scrivere più facilmente musiche e poesie, siamo più “buoni”, e anche “belli”. Un miracolo. “Dislocati” dai noi stessi siamo paradossalmente “divini”. Un po’ folli. Pazzi come gli dei, che sono bene e male insieme, e non conoscono giudizio. Come loro ci abbandoniamo ai “per sempre”, ai sogni di immortalità, di eternità, di unione erotica. Pensate alla storia di Le mille e una notte: il re è un assassino di donne, ma l’amore di Sherazade lo redime e lo rende un Re splendente.
Capitolo sesto: tramite le parole dell’antico filosofo Lao Tze, ci spieghi l’importanza del vuoto, che non è mancanza. Ma è tutto e potenzialmente matrice di ogni cosa. Puoi dirci qualcosa a tal riguardo?
Scriveva che il vaso non è l’involucro, ma il vuoto che in esso è contenuto. Noi cerchiamo di essere argilla affermando con le parole di essere questo o quello, e confondiamo, insomma, l’involucro col vaso, sperando che questo basti a farci esistere. Ma Lao Tze ci dice che non è così e prova ad indicarci la via. La via è conoscenza. Ma la conoscenza è assenza: solo il vuoto può essere riempito.
Queste sono solo alcune delle tante suggestioni e riflessioni che il libro ci trasmette e noi ti ringraziamo tanto. Dove possiamo trovarlo?
Si può ordinare online e in tutte le librerie. Grazie a te per l’opportunità data di parlare di concetti trascurati ma che possono dare alle persone equilibrio e consapevolezza. Siamo tutti in cammino, il senso è proprio il cammino. Tra tracce di felicità da cogliere!
Bella intervista! Complimenti a Virginia Saba e a Simonetta Columbu 🌟