Maria Carta, Terence Hill. “Banditi a Orgosolo”. I film del malessere_di Attilio Gatto

1968, nell’anno della rivolta studentesca, Graziano Mesina viene arrestato alle porte di Orgosolo. È giá un film, documentato negli archivi Rai. Il titolo potrebbe essere Grazianeddu, la fine di un mito. Riprende la telecamera di un professionista di lungo corso, Stefano Pontillo. A fare le domande l’inviato speciale Giuseppe Fiori, che chiede silenzio, anzi lo ordina, con l’autorità di un regista. Mesina é seduto, in catene, lo sguardo smarrito. La domanda di Fiori è un’affermazione: tu sapevi che non avevi alternativa, la costituzione o la cattura o morire in conflitto.
Mesina conferma, dice sí, lo sapevo da prima. Fa l’appello per la liberazione degli ostaggi, ma non viene ascoltato da chi li ha in custodia: dunque Mesina non è un capo, è uno come gli altri.
E però resta la suggestione dei numeri, l’impresa: 22 tentativi di evasione, 10 andati a segno.
Terence Hili ha trent’anni quando interpreta, negli scenari del Supramonte, le vicende di Graziano Cassitta ovvero “Grazianeddu” Mesina, affiancato da Don Backy, nel ruolo di Miguel Atienza. È nel 1969 che Carlo Lizzani dirige “Barbagia”, tratto dalla “Società del malessere” di Giuseppe Fiori.

Mario Girotti, in arte Terence Hill, attore esuberante ma prima ancora uomo schivo, riservato, non fatica a entrare in sintonia con
la figura-simbolo del banditismo sardo. L’uomo che rappresenta le tensioni, i conflitti della Sardegna interna, i codici svelati da Antonio Pigliaru.
Banditi a Orgosolo (1961), capolavoro di Vittorio De Seta. Con lo stesso titolo è stato pubblicato nel 1975 un libro dell’antropologo Franco Cagnetta. Il film si svolge in Barbagia ed è interpretato da pastori sardi, attori non professionisti.
Michele, pastore di Orgosolo, subisce un controllo dai carabinieri, i quali sono coinvolti in un conflitto a fuoco che costa la vita ad uno dei militari. Michele è innocente, ma sceglie di darsi alla latitanza. Inseguito dai carabinieri, perde il gregge. Per rifarsi, lo ruba ad un altro pastore. E così, da possibile vittima, diventa bandito. Presentato in concorso alla 22ma Mostra d’arte cinematografica di Venezia, ha vinto il premio Migliore Opera Prima.
La donna in nero, lo sguardo vigoroso, racconta scene da tragedia greca. Lei è stata definita da uno scrittore la personificazione di un’Isola.

L’Isola è la Sardegna. Lo scrittore è Giuseppe Dessì. La donna è Maria Carta. Dopo averla conosciuta – scrive Dessì – “ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono state le donne”.
Chissà se la pensa così anche Gianfranco Cabiddu, il regista che nel suo primo lungometraggio – “Disamistade”, 1988 – ha affidato a Maria Carta proprio la parte di quella “donna in nero”, moglie dell’ucciso!
Lui ha raccontato una storia di faida. Ma anche di rivolta alla legge della vendetta. E di contrasti: la luce accecante delle mattine assolate e la semioscurità degli interni, la rigidità di regole antiche e la voglia di cambiare quella realtà immobile. E’ uno sguardo particolare alle donne di Sardegna, alla loro condizione, alle loro aspirazioni.
Il film, presentato in anteprima a Cagliari, fu accolto con entusiasmo dal pubblico. Oggi lo si può vedere interamente digitando titolo e nome del regista su Google. E il primo incontro è lei, il volto di Maria Carta, rara espressività, occhi e passione. Un fascino che ancora illumina, dopo tanti anni, l’efficacia dell’intreccio. E il film sembra ancora più bello. L’attrice Maria Carta, non solo la grande cantante, è amata dai giovani d’oggi, non solo sardi.
Per lei Gianfraanco Cabiddu ha parole d’affetto. Si, anche per lui è l’immagine della Sardegna.“Presenza affascinante, attrice duttile, generosa”. Capace di emozionarsi quando il regista, per le scene del film, le consegna uno scialle nero, di Sedilo, appartenuto alla nonna. Per Cabiddu, Maria Carta è “una sorella maggiore”, ma anche “una maestra, che va studiata perché è una figura che ha dato tanto alla Sardegna, un profilo culturale ancora da scoprire.” Forte, magnetica, passionale, ma anche sobria, essenziale, concreta, come la sua storia di artista che ha incantato il mondo con la voce. E con la capacità di dominare la scena con la sua arte e la sua sensibilità.