Aprile 19, 2024

Andar per chiese antiche_La chiesa di S. Antonio Abate_a cura di Anna Palmieri Lallai

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Una chiesa particolarmente cara ai cagliaritani, ricca di storia urbana, fede e fascino, è senz’altro quella dedicata a S.Antonio Abate che, costruita senza soluzione di continuità con gli adiacenti edifici ottocenteschi, si presenta alla nostra attenzione a metà altezza della centrale via Manno, scendendo sulla sinistra. Consacrata a S.Antonio Abate, il santo eremita, protettore, in particolare, degli agricoltori, degli animali domestici, degli appestati e invocato per l’herpes zoster, in tempi passati era la cappella privata dell’antico Spedale di S.Giovanni di Dio, destinato alla cura degli “ultimi”, ubicato lungo le omonime scalette, negli spazi oggi occupati dall’hostello della gioventù

Via G.Manno e la chiesa di S.Antonio Abate

La chiesa, che, con l’omonimo portico e il convento religioso ospedaliero formava un vasto “unicum”, attraverso diverse vicende e trasferimenti di proprietà, verso il 1882 entra nel patrimonio dell’antica Arciconfraternita della Madonna d’Itria, che ancora la detiene. Trasformata radicalmente in stile barocco, imperante all’epoca, fu riconsacrata solennemente il 2 maggio 1723 dall’arcivescovo Antonio Sellent e, aperta alla collettività, d’allora si presenta alla mia e alla nostra attenzione.

 Preceduta da un paio di gradini che permettono di superare il dislivello con la sede stradale, la chiesa, di cui s’ignora il progettista, ha un solenne e monumentale portone d’accesso ligneo rettangolare, ornato e fiancheggiato da una modanatura formata da possenti pilastri con capitello floreale e elaborate volute. L’architrave del portale è sovrastato dallo stemma degli Spedalieri, primitivi proprietari, e da una nicchia, a forma di conchiglia, che racchiude la statua in pietra del Santo, risalente al ‘500 e attribuita allo scultore Scipione Aprile. Mentre una bella cupola ottagonale, oggi ricoperta di lastre zincate, e un piccolo campanile a vela a due luci, la identificano.

Monumentale portale della chiesa 
Retro della chiesa cupola e campanile

Varcato l’ingresso, nell’atrio due piccole nicchie laterali custodiscono altrettanti preziosi simulacri lignei policromi, risalenti al sec.XVIII, dovuti allo scultore di Senorbì G.Antonio Lonis o alla sua scuola: la Vergine Addolorata, a destra, e S.Gabriele e Tobiolo, a sinistra. Superata la bussola ci accoglie un interno piccolo e raccolto, di particolare fascino e subito ammiri un sobrio barocco che esalta la sacralità dell’ambiente.

 Altare maggiore 

La chiesa è a navata unica ottagonale, con ingresso, presbiterio e sei cappelle laterali, tre per lato. Il presbiterio, leggermente curvilineo e poco sopraelevato rispetto al pavimento marmoreo, che ripropone, al centro, l’antico stemma degli Spedalieri, si presenta più profondo rispetto alle cappelle laterali ed è delimitato da balaustrini in marmo. Nel fondo troneggia un bell’altare maggiore in pregiati marmi policromi intarsiati, da qualche critico d’arte attribuito allo scultore Giovanni Battista Corbellini, all’epoca impegnato nella chiesa barocca stampacina di San Michele. Di foggia antica, realizzato a ventaglio, è sovrastato da una nicchia che, fiancheggiata da due belle colonne marmoree, racchiude l’antica statua lignea policroma del Santo titolare, in atteggiamento bizantino, di cui si ignora l’autore. E’ raffigurato in piedi nella più classica iconografia con l’immancabile bastone in mano a forma di Tau, il libro e il porcellino, con cui, secondo fede e tradizione, ha portato il fuoco agli uomini sulla terra rubandolo dagli inferi. Al centro della nicchia, nella parte finale, fanno capolino i visi di tre puttini, mentre tutt’intorno, su uno sfondo dorato, è un fiorire di ramages in stucco bianco. Il fastigio è caratterizzato dalla presenza di due cherubini laterali, che, in piedi e svolazzanti, reggono lunghe ghirlande di fiori. Lateralmente sono appesi due grandi dipinti; quello, sulla sinistra, raffigura La Vergine che porge il Bambino a San Giovanni di Dio, da molti critici d’arte attribuito a Giacomo Altomonte, pittore romano, attivo in città nella prima metà del ‘700. La tela incuriosisce per la presenza dell’arcangelo Raffaele, considerato patrono dei viandanti, dei profughi, dei farmacisti, degli sposi. Il santo Arcangelo è con il piccolo Tobia o Tobiolo, al quale guarì il padre cieco: il piccolo, secondo tradizione, tiene in mano un pesce. Nel dipinto un’iscrizione in parte latina e in parte spagnola, recita: Archangelus Raphael medicina Dei.  Avan de Dios totos somos de un abito

Sul lato opposto un’altra grande tela rappresentata l’Annunziata, illuminata dai raggi dello Spirito Santo, scalza, con le ampie vesti, incoronata da una ghirlandina di delicati fiorellini, tra uno stuolo di angioletti festanti. In basso, sulla sinistra, quasi in disparte, l’arcangelo Gabriele, che, per tradizione cristiana, fu inviato da Dio per annunziare alla Madonna il suo concepimento verginale. Il dipinto è dovuto alla mano di Sebastiano Scaleta, molto attivo nella seconda metà del ‘700, anche se parte delle sue opere, col tempo, sono andate disperse. Lateralmente, sulla sinistra, è custodito in un prezioso reliquiario il cranio del Santo, mentre, nella candida volta a botte del presbiterio, anch’essa delimitata da piacevoli decori vegetali, si evidenzia, al centro, il simbolo dell’Eucarestia, in stucco dorato.

Le sei cappelle, uguali come profondità e ampiezza, disposte a raggiera, sono voltate a botte e introdotte da un ampio arco a tutto sesto. Indipendenti, sono fra loro separate da paraste con capitello corinzio, fregi dorati e, leggermente sopraelevate, sono tutte delimitate da balaustra classicheggiante marmorea ad andamento leggermente curvilineo, alcune chiuse con artistico cancelletto in ferro. Tutte custodiscono un altare marmoreo di pregio e presentano delle nicchie con simulacri o grandi quadri. Di particolare importanza è la prima sulla destra del presbiterio, dedicata alla Vergine della Salute, il cui dipinto, risalente al 1844, del pittore cagliaritano Antonio Caboni, sovrasta un altare marmoreo a più mensole, realizzato nel 1839. La Madonna della Salute o Salus infirmorum, amorevolmente circondata da figure celestiali, è rappresentata su un cumulo di nuvole, con lo sguardo basso, le mani giunte, in atto di preghiera e d’intercessione per gli uomini. Alle pareti molte testimonianze di ex-voto. Da questa cappella si può accedere alla sacrestia e agli ambienti interni dell’Arciconfraternita.

Salus Infirmorum –tela A.Caboni 1844

Superato un bel pulpito marmoreo a colonna, segue in tutto il suo splendore la cappella dedicata alla SS.Vergine d’Itria, guida dei viandanti, titolare dell’Arciconfraternita, che si festeggia il 28 maggio, giorno della Pentecoste. La Vergine è riprodotta in una grande tela, commissionata dalla stessa Confraternita e realizzata con molta probabilità a Cagliari, tra il 1616 e il 1618, dal pittore romano Francesco Aurelio, che operava nell’antico quartiere di Lapola.

SS.Vergine d’Itria-tela Francesco Aurelio 1618

La scena della pala, idealmente divisa in due parti, raffigura la festa celeste e quella terrena. Infatti nella parte superiore del dipinto è collocata la Vergine, con il manto aperto e le braccia sollevate, come se volesse abbracciare i fedeli, mentre nel suo grembo appare il suo divino Figliuolo, con degli angeli che gli posano una corona sulla testa sovrastata da una candida colomba, simbolo dello Spirito Santo.

Nella parte bassa due Calogeri, sacerdoti della Grecia ortodossa, sorreggono con una spalla la sua bara, mentre con l’altra oscillano il turibolo dal quale fuoriesce l’incenso. I Calogeri, che, secondo la tradizione, salvarono in Costantinopoli il simulacro della Vergine dall’invasione dei Turchi, indossano gli abiti tradizionali dell’epoca. Più in basso dei confratelli, incappucciati, procedono in processione, mentre nello sfondo, in lontananza, s’intravede una veduta di Cagliari con i promontori, il mare e una torre d’avvistamento. Il dipinto, di quasi tre metri, è incorniciata da inserti marmorei policromi intarsiati, che presentano, nella cimasa, la colomba, simbolo dello Spirito Santo. L’altare, a ventaglio, in marmi policromi intarsiati, consacrato il 24 gennaio 1789, dall’allora arcivescovo Vittorio Filippo Melano, è opera di G,Battista Spazzi che lo realizza nel sec.XVIII.  L’altare ha una sua storia particolare perché è stato rimosso dall’antico oratorio dell’Arciconfraternita, in passato ubicato in via Baylle e successivamente ceduto all’asilo della Marina, ottenendo in cambio la cappella degli Spedalieri, oggi chiesa S.Antonio Abate.

Questa cappella, in origine, era dedicata a S.Omobono, protettore dei sarti e commercianti di tessuti, ricordato con una tela di Sebastiano Scaleta del 1750.

 Le altre cappelle, tutte degne di uno sguardo attento, sono dedicate a S.Giovanni di Dio, protettore del personale medico, paramedico e non solo, in passato sede del gremio de is carradoris, al S.Crocifisso con fondo pitturato con la raffigurazione della Vergine, di Maria Maddalena e di S.Giovanni. Le altre cappelle sono consacrate all’Assunta e al Sacro Cuore di Gesù.

In direzione dell’ingresso, sopra la bussola, nella balconata della cantoria, si ammira un maestoso organo della ditta Agati-Tronci, del 1887, che a lungo ha risuonato tra queste mura.

 Organo Agati-Tronci 1887

Lungo il perimetro dell’aula corre, senza soluzione di continuità, una ricca cornice modanata, mentre, al di sotto, trionfano motivi floreali, visi di puttini, capitelli e fregi dorati, regalandoci uno spettacolo di straordinaria bellezza artistica.

L’ultimo sguardo lo merita la cupola, con lanterna oscurata, dalla forma ottagonale, elegante nella sua semplicità. Realizzata a spicchi, nella parte alta, vicino alla lanterna, è riportata la scritta V.S.Antoni, le cui lettere sono inserite in tondi dorati, mentre, nella parte finale, sempre all’interno di tondi, sono riprodotti, alternandosi, il Tau e il monogramma della Madonna.

  In passato, nel 1894, tutta la cupola venne arricchita da affreschi raffiguranti scene della vita del Santo e della Madonna, realizzati dal pittore riminese Guglielmo Bilancioni, presente a Cagliari per volere di Enrico Serpieri, esule politico, fondatore e primo presidente della Camera di Commercio.

 Ma, nel 1944, consistenti infiltrazioni di acqua piovana costrinsero l’ing. Riccardo Simonetti, che curava il restauro, a sacrificare all’interno gli affreschi e all’esterno la bella copertura con tegole maiolicate, sostituite con ampie lastre zincate al pari delle cupole della chiesa di S.Anna.

 Questa è, in breve, la chiesa di S.Antonio Abate, da sempre frequentata e amata non solo da me, ma da generazioni di cagliaritani e non solo.

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