Ottobre 13, 2024

Montevecchio: Santa Barbara_di Tarcisio Agus

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Il culto di Santa Barbara in Sardegna sembrerebbe giunto attraverso i bizantini che  ne portarono il culto e la devozione. Nata nel 273 d.C. a Nicomedia in Asia Minore (Turchia) a seguito della sua conversione al cristianesimo il padre la consegnò ai suoi carnefici, morendo dopo crudeli torture e  decapitazione ad opera dello stesso padre, che mai accettò la sua conversione. La leggenda narra che suo padre, dopo aver commesso l’atroce delitto morì colpito da un fulmine incenerendolo. Per questo drammatico evento viene considerata la protettrice di tutti coloro che muoiono a causa di eventi violenti come i  fulmini od esplosioni. La invocano gli artiglieri che hanno a che fare con gli esplosivi, il genio militate, la marina militare, i vigili del fuoco ed i minatori.

Sicuramente anche Giovanni Antonio Sanna era particolarmente devoto alla santa, vista l’impresa mineraria che andò formando fin dal 1848 a Montevecchio. Già prima frequentava Genna Serapis (Montevecchio) osservando dall’alto de “Somu de is Oreris”, una modesta casupola eretta dai precedenti escavatori nella parte alta del filone, ove soggiornava anche lui durante le sue prime esplorazioni e si riparava dalle intemperie. Da quella posizione dominante sicuramente aveva pensato alla sua Montevecchio spianandone poi il passo per ospitare i primi stabili e tra questi, un particolare pensiero lo rivolse alla costruzione del tempio da dedicare a Santa Barbara. Non è dato sapere se l’idea della chiesa monumentale le fosse stata ispirata dalle tracce di un tempio romano, lui appassionato di archeologia,  che il funzionario regio Carlo Corbetta che visitò Montevecchio nel 1877, narrando della fornace che fornisce mattoni e tegole, prosegue dicendo: “ A poca distanza si sono trovate poche rovine di un tempio romano, il che ha fatto supporre la miniera fosse anche a quell’epoca conosciuta, ma con gli scavi non si sono trovati, come ho detto, tracce che possano darne indizio, ne tanto meno accertare codesto fatto”. Certo è che Giovanni Antonio Sanna intendeva  edificare un grandioso tempio in onore della Santa protettrice dei minatori. Ciò è stato possibile dedurlo da un documento dell’allora direttore di Montevecchio (1862), l’ingegnere Eugenio Marchese, che nel 1893 scriveva: l’attuale palazzo Sanna Castoldi (ex Direzione) venne costruito “sopra le fondazioni troppo vaste che erano state gettate per una chiesa monumentale” . La conferma della narrazione dell’ingegner Marchese ci vien data dalla progettazione dell’attuale palazzo Sanna – Castoldi, redatto dall’ingegner Enrico Coletti nel 1876. Sulla pianta al piano terra riporta le fondamenta dell’importante edificazione, alla morte del Sanna nel 1875, pare che i lavori fossero da tempo sospesi. Dalla carta del progetto si evince la struttura trilobata, larga quanto l’attuale struttura con l’abside centrale rivolta a levante e ricadente a metà dell’attuale cappella di Santa Barbara, con sviluppo ad oriente per tutto il fabbricato. Su quei ruderi l’ingegnere Coletti progetterà l’abitazione dei Sanna – Castoldi ridimensionando la chiesa che posizionerà, come cappella di famiglia, ad oriente, incuneandola nel resto del palazzo ottocentesco.

Il Palazzo minerario ospiterà l’appartamento del direttore Ing. Castoldi al primo piano, mentre al piano terra vennero collocati gli uffici di direzione  ed a levante la chiesa – cappella.  Con evidente diversa visione del suocero, l’ingegner Castoldi occupa tutto lo spazio della monumentale chiesa del Sanna per la sua dimora e gli uffici della miniera riservando per il culto alla protettrice dei minatori una cappella. Il Sanna voleva che il tempio di Santa Barbara dominasse e proteggesse la miniera, nonché potesse essere visto da lontano, come un tempio classico, tanto che l’ingegner Marzocchi, in una sua nota, ne descrive la composizione: allo spazio ecclesiale trilobato si accedeva tramite un pronao e portico d’ingresso retto da colonne e sormontato da un sontuoso timpano. Parte dei rocchi e trabeazioni sono oggi sparse lungo viale dei pini, ricavati dalla cava presso l’ospedale di “Roccia Leone”.

L’ingegner Castoldi, più prosaico, vedeva nella direzione della miniera e nella sua sontuosa abitazione l’elemento di dominio sulla miniera, lasciando al culto di Santa Barbara un ambiente in posizione quasi defilata. Con la copertura del palazzo vennero nel 1878 completati anche i lavori della chiesa, che però pare ultimata, con diverse modifiche dal progetto originale dall’ingegner Castoldi nel 1880. Degli affreschi se ne curò Zely Sanna, moglie del Castoldi, nei primi del 1900 dando incarico ad un pittore riminese di nascita e fiorentino d’adozione Guglielmo Bilancioni, che curò le opere artistiche e l’apparato decorativo della chiesa. In ricordo del padre, Zely fece affrescare dallo stesso artista la parrocchiale di San Nicolò nel 1904 e la sala del consiglio del comune di Guspini, presumibilmente sono le ultime sue opere in quanto mori tre anni dopo nella sua città natale.

Altare di Santa Barbara

L’impianto della cappella diciamo a croce latina, con due transetti (piccoli vani) contrapposti oltre il quale è collocato l’altare, con il presbiterio che si chiude con un abside semipoligonale. Il soffitto è a cassettoni decorato con fregi e rosette in stucco dorate. Al centro del soffitto in uno spazio quadrato troviamo la copertura a volta “a schifo” (tipo di copertura curva) realizzata con decorazioni a tempera. L’aula centrale è divisa in tre campate con finti pilastri sormontati da capitelli corinzi, all’interno delle quali trovano posto le eleganti finestre a bifora. La facciata principale è rivolta ad est ed è di chiari influssi rinascimentali, con il suo monumentale ingresso racchiuso da lesene con capitelli e sormontato da un timpano triangolare.

Inizialmente il grazioso complesso ecclesiale svolgeva la sua funzione come cappella privata, con  l’accesso consentito solo  ai famigliari e dirigenti della miniera, ma la stessa Zely si adoperò  perché la cappella di famiglia fosse aperta al culto per tutti gli abitanti della miniera.

Il percorso non fu facile, c’è lo ricorda Mons. Tomasi nel suo articolo “La chiesa di Montevecchio” nell’opera “Memorie del Passato” del 1997, dove riporta la lettera della Sacra Congregazione dei Riti, inviata al vescovo di Ales e datata 23 novembre 1888, con la quale vengono espresse tre importanti osservazioni: “Quantunque il locale sia ben adornato ed elegante, presenta tutt’avvia alcune irregolarità, e cioè: 1) Il presbiterio è circondato da ambienti che formano parte della casa degli Amministratori; 2) Nelle parti superiori delle pareti  che circondano l’altare vi è una tribuna con grate, ad uso dei dirigenti della miniera e delle loro famiglie per potervi ascoltare la Santa Messa; 3) Sopra la volta della chiesa vi è un terrazzo a scopo di ricreazione”. Comunque nella stessa lettera si da un’apertura a rendere il sacro luogo aperto al pubblico, infatti si legge ancora: “Per singolare grazia ed in via provvisoria si  concede che la predetta cappella venga benedetta e dedicata a modo di Oratorio semi pubblico a condizione che sopra l’altare sia collocato un baldacchino fisso, e che il vescovo si assuma in coscienza la responsabilità circa la riverenza dovuta al luogo Sacro”.

Fonte Battesimale – Santa Barbara

La comunicazione ufficiale della concessione fu data il 3 dicembre 1888 dal Prefetto della Sacra Congregazione, il cardinale Angelo Bianchi. Ci volle ancora qualche anno perché le osservazioni venissero attuate, infatti il 10 giugno 1891 Mons. Zunnui incaricava il Canonico Sebastiano Frau, suo vicario generale, ad effettuare il sopralluogo per verificare che i lavori fossero stati eseguiti secondo le indicazioni date e che  gli arredi fossero conformi alle prescrizioni del sacro rito.  Il 21 giugno del 1891, con cerimonia di inaugurazione e benedizione,  la “Sacra Cappella” veniva dichiarata Oratorio semi pubblico, sotto la giurisdizione del parroco di San Nicolò di Guspini. Non essendoci un cappellano fisso venne disposto che nell’Oratorio non poteva essere custodito il SS.Sacramento ed il Vescovo invitava inoltre il direttore della miniera a vigilare perché in nuovo luogo di culto  fosse protetto. Per avere il primo cappellano residente dobbiamo attendere il 1936, su invito della Montecatini e tramite il Delegato generale Francesco Sartori fu chiesto all’arburese sacerdote Domenico Vacca parroco di Collinas di accettare l’incarico, che si concretizzò con l’ingresso nella nuova sede il 15 settembre 1936. Da questa data, vista l’autonomia da Guspini, il cappellano adottò il “Libro cronico” dove sono stati narrati tutti gli avvenimenti della autonoma cappella di Santa Barbara, ne ricordiamo alcuni: 20 settembre 1920 venne eretta la fonte battesimale; nel 1937 venne chiamato il sig. Pietro Sanna a ripulire e restaurare la cappella. Nel 1967 venne edificato il nuovo altare secondo le disposizioni liturgiche post conciliari, ad opera dell’allora cappellano Don Fausto Atzori, che due anni dopo benediceva i due bassorilievi ceramici dello scultore, ceramista e pittore italiano il sassarese Gavino Tilocca, inseriti nella parete in fondo all’altare (vedi foto di copertina).

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