Febbraio 10, 2025

Eredità Mineraria di Guspini nel Medioevo_di Tarcisio Agus

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Santa-Maria-dopo-restauro

Alla morte di Pietro I, nei primi anni del 1200, Barisone II venne liberato, ma la reggenza al Giudicato di Guglielmo, fattosi incoronare dal clero, aprì una complessa gestione dell’Arborea conclusasi solo con il regno del figlio Pietro II. Nel 1241 alla sua morte lasciava l’eredità ed il trono al figlio Mariano II. Per la minore età di Mariano II il governo giudicale fu affidato allo zio Guglielmo di Capraia, figlio di secondo letto di Pietro I morto a Pisa nel 1211.

Guglielmo di Capraia, discendente da parte di padre dalla famiglia dei Burgundione conti di Capraia, porterà decisamente il Giudicato d’Arborea e quindi anche Guspini sotto la totale l’influenza pisana.

I pisani contribuirono senza dubbio ad un’ulteriore sviluppo e centralità di Guspini nel giudicato.

Guglielmo di Capraia imparentato con i Gherardesca conti di Donoratico, signori di Villa di Chiesa (Iglesias) e con i Visconti di Pisa, nel 1250 pare avesse ottenuto dal papa Innocenzo IV il riconoscimento di giudice. Come Giudice di fatto disponeva del nostro patrimonio minerario che verosimilmente riorganizzò e rilanciò, come fecero i suoi cugini della Gherardesca, detentori, dopo la spartizione del regno di Cagliari del 1258, delle miniere dell’iglesiente, regolandone lo sfruttamento attraverso il codice legislativo “Constituto”, poi tramutato in  “Breve di Villa di Chiesa“ nel 1303.

Una nutrita normativa che attraverso i capitoli del IV libro regolamentavano le escavazioni minerarie, la sua organizzazione e gestione. Guglielmo di Capraia, a differenza dei cugini che fondarono la città di Iglesias, disponeva dell’importante villa di Guspini a ridosso delle miniere e nella quale probabilmente diede vita, facendo proprie le normative del libro IV, all’istituzione dell’ufficio dei Maestri del Monte. Sempre sulla base del disposto normativo l’ufficio doveva esser individuato nella villa, messo a disposizione dei Maestri del Monte e del loro scrivano, questo probabilmente venne eretto a ridosso della chiesa di Sant’Alessandro. Verosimilmente il complesso medioevale, all’inizio de sa ia de sa mena, acquisì titolo di Monte con l’insediamento dell’ufficio dei Maestri del Monte, molto prima della fondazione dei Monti di Soccorso nel 1600.

L’istituzione dei Maestri del Monte, fondamentali al governo delle escavazioni minerarie e delle successive lavorazioni, era costituito da otto componenti, di cui cinque borghesi della villa, che avessero praticato ”l’arte dell’argentiera” per almeno cinque anni ed uno scrivano. Venivano nominati pubblicamente, al cospetto del Capitano, del Rettore e del notaio di Corte, che redigeva l’importante atto. Ogni componente aveva un compito, come il maestro di fossa, il più importante ufficiale di miniera, sovrintendeva i lavori e dava le concessioni di escavazione e certificava le produzioni. Nella zona mineraria due funzionari esercitavano il ruolo di polizia e di pronto soccorso in caso di incidenti. Altri due amministravano la giustizia e dirimevano le controversie, con l’obbligo di tenere la corte in villa almeno due volte la settimana (sabato e domenica o domenica e lunedì).

Dopo l’estrazione e la lavatura il minerale veniva portato con i molentari o carratori negli uffici del Maestri del Monte per la pesatura e poi trasferiti alle fonderie dei guelchi, imprenditori metallurgici autorizzati all’acquisto del minerale che si occupavano della colatura dell’argento. Allo scarico dei minerali nel piazzale dei forni sovrintendeva il Carmelengo, funzionario regio, che interveniva per il prelievo fiscale.

L’antica sede dei Maestri del Monte

Interessanti sono le segnalazioni del guspinese Francesco Lampis al Sovrintendente dei Beni Culturali Antonio Taramelli del 1923, quando indicava i luoghi delle lavorazioni mineralogiche presenti a Guspini, a cominciare dalle tracce e dei materiali rinvenuti presso la sua casa in via Don Minzoni e alle falde di  Cuccuru Zeppara, dove raccolse molti pezzi di litargirio (l’ossido di piombo ottenuto dall’estrazione dell’argento dalla galena), alcuni consegnati al museo di Cagliari. A suo dire Guspini, già sede di filoni minerari, si fondeva entro l’abitato e nelle sue immediate periferie di Rio Cabras e Bingias de Susu, a supporto elenca i materiali rinvenuti: canale, lastre di piombo e pestelli di macinazione. Tracce mantenutesi nel tempo, ebbero il massimo sviluppo in fase romana, per poi andare scemando sino all’importante ripresa in fase medioevale, grazie anche al mantenimento dell’attività estrattiva dovuta ad autonomi ricercatori. L’area principale di estrazione in questa fase  era senza dubbio Montevecchio, dove si ripresero le antiche escavazioni  di  Piccalinna e Sa fraiga.

Il processo di raffinazione mineraria avveniva sostanzialmente nelle periferie dell’abitato per facilitare la dispersione malefica dei fumi e dove convergevano i due elementi fondamentali per l’arte fusoria, l’acqua e la legna. L’acqua era necessaria per il lavaggio e la separazione del minerale dalla ganga (materiale inerte), ed era data dalle numerose sorgenti perenni presso l’abitato come Sa Pixiedda, Santa Maria, Mitza Summius, che scorrevano a valle, e da due corsi d’acqua di rio Mengas (o Acqua Bella) e rio Cabras. Il legno, quale combustibile, era facilmente reperibile nell’immediata periferia presso il Monti Mannu (Monte Santa Margherita), Su Montixeddu e in regione  Carongiu de Ponti.

La presenza a Guspini di fabbri fonditori consentiva alla comunità di dotarsi degli strumenti di scavo ma anche di lavoro per lo sfruttamento delle risorse geologiche e del supporto al vasto patrimonio agricolo e zootecnico.

Un’economia mista che non poteva non esser tenuta in alta considerazione dal Giudice Guglielmo di Capraia, che nell’ambito del suo potere, probabilmente proseguendo l’opera di Algabusa, assegnò il cenobio bizantino di Santa Maria Assunta ai Gerosomilitani, frati di San Giovanni del Santo Sepolcro di Pisa. Ne finanziò la nuova edificazione in sostituzione degli arcaici ambienti domestici e della piccola chiesa bizantina, fece erigere un nuovo monastero con un loggione sul fronte sostenuto da sei colonne per accogliere i viandanti ed i malati. Dirimpetto, riprendendo il vecchio edificio ecclesiale lo ampliò dotandolo di tre navate con un prospetto romanico pisano di cui ancora si conserva l’importante testimonianza, compresa la “firma del committente” rappresentata dalla protome caprina nel sopracciglio dell’ingresso, che richiama i documenti araldici dei Capraia con il caprone rampante.

Le colonne dell’antico loggiato

I Gerosomilitani restarono a Guspini per almeno 300 anni, probabilmente, vista la sua articolata economia, veniva considerato un centro utile dove poter raccogliere anche risorse per finanziare le crociate. La loro lunga permanenza ci è data dal titolo della chiesa “Santa Maria di Malta”, sicuramente dato dall’importante ordine templare dopo che il gran maestro fra Philippe de Villiers de L’Isle-Adam nel 1530 prendeva ufficialmente possesso dell’isola di Malta, divenendo così l’ordine dei “ Cavaglieri di Malta”, da cui Santa Maria di Malta.

Sicuramente è sotto i Gerosomilitani che la processione dell’Assunta assunse lo spirito cavalleresco, con la sua apertura ad opera del priore cavaliere, che custodiva e portava il vessillo, scortato e difeso da almeno cinque fratelli cavalieri sino ad un massimo di 10. Allora la processione si muoveva dalla chiesa dell’Assunta per l’attuale via Santa Maria, giù per la via Gramsci e via Parrocchia, già “Tibula Sulcis”, ove si affacciava la chiesa/tempio di Santa Barbara. La processione scendeva per Barigau (che significa trapassare, passare da una parte all’altra. Presumibilmente indicava il salto del fiume che divideva il colle con la chiesa di Santa Barbara dall’abitato più a monte), proseguiva per via senatore Spano, via La Marmora e via Ferracciù, al termine della quale era la chiesa di Sant’Alessandro. La processione, dopo una breve fermata nella parrocchiale, proseguiva seguendo le arterie delle attuali via Tempio, la Pace, Azuni, Pio Piras, Manno sino al ritorno nella chiesa dell’Assunta.

La presenza pisana in quel periodo è rafforzata anche dalla figura di un importante membro della casa regnante del Giudicato, Gottifredo di Pietro d’Arborea, detentore della domus di Urradili, già di proprietà giudicale con Agalbursa, ma con ulteriori proprietà terriere nel guspinese compresa la fertile Terramaestus, che probabilmente amministrava dalla sua abitazione che deteneva nell’abitato di Guspini.

Personaggio di spicco, considerato dagli studiosi un liber ab equo, un cavaliere, probabilmente parte laica dei Gerosomilitani presenti a Guspini, in virtù della sua pietà e religiosità. Grazie al suo testamento redatto il 19 ottobre 1252, nella sua casa di Oiratili (Urralidi), quandun Petri de Arborea, infirmus corpore mente vero sanus, dal notaio Alcherino di Casciavola, siamo a conoscenza del suo vasto patrimonio e del suo corredo di cavaliere. Nell’inventario redatto l’anno successivo dai tutori della figlia minore Berlinghesca vengono descritti gli arredi, il bestiame e i cavalli, parte importante del cavaliere, come, per esempio, le giubbe di cuoio senza maniche, che si portavano sotto la corazza, la lunga veste in maglia di ferro, le due corazze e le calotte di fesso da porre sotto l’elmo. Ancora erano due paia di guanti rivestiti esternamente di maglie di ferro, due scudi rettangolari e due copri cosce in ferro, mentre le armi erano una spada, simbolo della cavalleria, e tre balestre in legno.

Nella domus a  Urralidi operavano 26 servi e 14 ancelle, mentre nella domus di Guspini erano 12 i collaboratori tra servi e ancelle, la cui residenza con giardino e personale occupava tutta l’area dell’attuale oratorio “San Domenico Savio”. Deteneva inoltre l’abitato di Neapolis, ormai spopolato e ridotto a poche abitazioni, i pochi abitanti resistevano sicuramente grazie alla presenza ed all’economia del porto ancora attivo.

La vita del porto di Neapolis è attestato da due documenti nel Diplomatico Coletti e Roncini dell’archivio di stato di Pisa: il primo narra della consegna di 15 libre di denari genovesi a Pandolfino Gelso, per l’acquisto di grano a Bugia nella costa algerina, avvenuto il 24 settembre 1231. L’incarico, affidatogli da Illibrando Mele del fu Gualfredo, imponeva che i viaggi avvenissero con la nave San Giacomo dal porto di Neapolis, con  ritorno a Cagliari.

Il secondo documento datato 19 giugno 1250, trattava la vendita di un servo del taverniere Armaleo, del fu Pegoletto, a Ranieri conte di Casale, di nome Guantino figlio di Moscardo, nato a Guspini nel Giudicato di Arborea, per il prezzo di libbre nove di denari minuti di Genova.

Di Neapolis se ne parla anche nel testamento di Gottifredo per un debito di 44 soldi pisani, dovuti per dell’oro concesso in mutuo da Pietruccio de Ligia nel porto.

L’ importante crescita di interesse per le attività del territorio e dell’abitato, protetto dalle invasioni barbaresche, presumibilmente spinse il Giudice di Arborea a trasferire, tra la fine del 1200 e 1300, il capoluogo della curatoria di Bonurzoli a Guspini.

Al centro dell’attività politica sicuramente erano gli uffici del Monte, che con i suoi due livelli e la torre, potè ospitare gli uffici della curatoria e verosimilmente un presidio militare, in sostituzione del castello dell’Arcuentu, poco accessibile ed ormai dal 1188 divenuto monastero  Vallombrosano.

I Capraia poterono esercitare indisturbati le loro attività economiche nel guspinese sino all’arrivo al trono giudicale di Mariano II. Ormai maggiorenne, ma costretto al co-governo del giudicato con Nicolò, figlio di Gugliemo di Capraia, dopo la morte del suo tutore nel 1264, Mariano II estromesse Nicolò annettendosi tutti i territori dei Capraia compreso il nostro. Rimase comunque alleato pisano essendo cittadino giurato di Pisa dal 15 giugno 1265, dove visse nella sua casa-torre presso il Ponte Vecchio. Durante i suoi 33 anni di regno il prof. Cesare Casula ricorda la crescita economica e culturale del giudicato tanto da essere paragonato ad uno Stato “relativamente moderno e raffinato”. La sua ricchezza e potenza sembra sia accresciuta grazie ai traffici in tutto il bacino del mediterraneo attraverso i due più importanti scali marittimi di Tharros e Neapolis, nonché attraverso importanti rapporti che coinvolsero il papato e la Corona d’Aragona, allora in grande difficoltà tanto che il 20 marzo del 1293  chiedeva a Mariano II un prestito di 5000 marchi d’argento. 

Dopo la morte di Mariano II il papa Bonifacio VIII nel 1297 istituì il regno di “Sardegna e Corsica”, per risolvere la Guerra del Vespro (Cacciata degli Angioni dalla Sicilia nel 1282), infeudando l’isola a Giacomo II il Giusto re della Corona di Aragona.

L’istituzione papale mise in allerta  il giudicato retto dal giudice de facto Tosorato degli Uberti, in quanto il figlio di Mariano II, Giovanni detto Chiano, era minorenne. Il suo matrimonio con Giacomina della Gherardesca rafforzò il legame con i pisani, nel tentativo di tenere stretta un’alleanza per opporsi al dispositivo papale che autorizzava il re di Aragona di occupare la Sardegna.  (segue)

In copertina, Guspini – la chiesa di Santa Maria dopo il restauro.

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