Ottobre 7, 2024

Faber e il Bomber_di Alberto Cocco

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Il calcio di oggi non è come quello di un tempo.

Oggi i più celebrati campioni vivono in avveniristici attici del Bosco Verticale milanese, nelle ville che abbracciano tutta Roma, negli appartamenti de luxe con il terrazzo davanti a Posillipo o in una magione con piscina e palestra, celata tra la folta vegetazione della collina, che sovrasta Torino e la sua Mole Antonelliana.

Nel 1968, Gigi Riva è già qualcuno.

E’ arrivato pochi anni prima, smilzo e silenzioso, ombroso e diffidente, in una terra lontana, che gli era sembrata l’Africa.

Vuole scappare via e tornare nella sua Lombardia, dopo che il Legnano ha ceduto il suo cartellino al Cagliari, destinato ad una favola moderna ed irripetibile nella storia del nostro calcio.

Non sa ancora, che è stato colpito dal Mal di Sardegna.

L’invisibile ragnatela lo avvolge prima del tempo.

I denari del budget societario non permettono neanche i costi delle case e lo chef personale, ai tempi di Arturo Silvestri.

Solo pochi anni dopo, il petroliere Rovelli promuove il salto di qualità e l’arrivo di altre stelle, fino allo scudetto del Settanta.

Ma fino a quel momento, la vita di Gigi è quella di un agiato goleador di provincia, con l’aperitivo al solito bar, le escursioni in barca con gli amici pescatori, l’Alfa Romeo Giulia 1600 fiammante – prima vera concessione al suo talento di goleador, approdato alla maglia azzurra della Nazionale – ed enormi bistecche al tavolo del Ristorante Corallo, in una traversa spagnoleggiante della centralissima Via Roma.

Divide con pochi compagni un piccolo appartamento ad un passo dalla grande area della Fiera Campionaria, Gigi Riva.

E’ la foresteria di Via Aosta, silenziosa e riservata.

La posizione è prossima allo Stadio Amsicora, la casa degli eroi rossoblu.

Nella stanza del suo riposo, Gigi possiede un giradischi di ottima qualità. Un cantautore nuovo, da amare ed ascoltare fino allo sfinimento, lo ispira e combatte la solitudine di quel tempo.

Nasce l’incrociarsi del destino di un calciatore di Varese – orfano e di famiglia umile – ed un poeta e musicista genovese, figlio di un grande industriale dello zucchero semolato.

Gigi e Fabrizio non hanno cominciato ad conoscersi, ma “La Buona Novella” di De Andrè è la colonna sonora di un istinto incontrollabile, che li rende cittadini e poi simboli di una regione.

“Bocca di Rosa” e “La Canzone di Marinella” sono le preferite di Rombo di Tuono – questo è il geniale nick-name dell’asso cagliaritano, coniato dal genio creativo di Gianni Brera – e nei trasferimenti della squadra con il bus il re del goal occupa abusivamente il posto accanto al guidatore, requisisce l’uso del mangianastri ed inonda l’abitacolo del mezzo delle canzoni scritte dal grande maestro ligure, qualche volta sfidando i mugugni dei compagni di squadra, più inclini all’ascolto del rock e dei ballabili italiani.

Ma il taciturno Gigi è già il capobranco.

Fabrizio De Andrè è appassionato di calcio.

Naturalmente ricambia l’ammirazione e si gode le gesta dell’asso in maglia rossoblù, anche se il suo cuore batte per il Genoa, che è la più antica e gloriosa società nazionale.

Le premesse per un rendez-vous tra i due straordinari personaggi sono le migliori, anche se presto avranno il denominatore comune di una scelta di vita, che mette radici nella terra dei nuraghe.

Le due anime timide e schive sono destinate ad incontrarsi.

Il ponte tra il campione ed il grande artista è un modesto giocatore genovese, che ha disputato una stagione all’Amsicora.

Ferrero li fa conoscere ed annusare.

Fabrizio ha il whisky facile, come il personaggio della celebre canzone creata da Leo Chiosso per lo stralunato talento di Fred Buscaglione.

Luigi Riva accende una sigaretta dopo l’altra, facendo imbestialire Sandokan Silvestri e poi scoprendo la tolleranza disincantata di Manlio Scopigno, che sarà il grande demiurgo della scudetto di Sardegna.

Chissà che cosa si raccontano, a pensarci.

Il poeta regala una chitarra e l’asso gli dona la sua maglia numero undici.

Magari Gigi è uno degli artefici di quella scelta esistenziale di De Andrè e la sua Dori Ghezzi, che decidono di acquistare uno stazzo di Gallura e trasformarlo in un paradiso terrestre, prima del terribile sequestro di persona intrapreso dai banditi del Supramonte.

All’Agnata, Gigi non va mai.

E’ un rispetto sacro per la ritrosia alla falsa pubblicità dei media.

Il suo amico Faber è la colonna sonora e l’anima delle sue malinconie di orfano cresciuto in collegio, strappato alla povertà di frontiera ed alla sua verde terra per un’isola lontana ed aspra, che diventa la sua.

I due continentali hanno scelto il drappo dei quattro mori.

Quando Faber muore, all’alba del nuovo millennio, Gigi va in clandestino pellegrinaggio in Via del Campo.

Sei anni dopo, all’Anfiteatro Romano di Cagliari, in un memorabile concerto dedicato alle Nuvole del suo grande amico cantautore, siede in prima fila accanto a Dori Ghezzi.

Risponde timido all’ovazione della sua gente, tra il grande Massimo Ranieri e Dolcenera, Sergio Cammariere e Antonella Ruggeri ed un apache di Sardegna, con una voce incredibile.

Muore l’anno dopo.

Il suo nome è Andrea Parodi.

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