Ottobre 7, 2024

Neapolis la cenerentola sarda_di Tarcisio Agus

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Adagiata sul dolce colle di rimpetto agli stagni di Marcedì, San Giovanni e Santa Maria l’antica città di Neapolis, pur decantata da molti storici, è ancora fanalino di coda nell’ambito della ricerca scientifica. Per cui, per esempio, permane ancora il mistero sull’insediamento umano  di fondazione greca  o  se  la città sieda all’estuario del Sacri fluvii ostia richiamato da Tolomeo.

Certo è che quel dolce promontorio che si eleva sui ricchi stagni neapolitani accolse l’uomo fin dal Neolitico ed in particolare i ritrovamenti di materiali d’uso, ascrivibili alla Cultura Ozieri, ci rimanda al 4000 a.C. Così pure altri reperti ceramici attestano il proseguo della frequentazione umana per tutto il periodo nuragico, dal 1800 al 500 a.C. Un frammento di maschera funeraria, parte di un sarcofago filisteo, riconducibile al XII-XI secolo a.C., attesterebbe la presenza stabile siro – palestinese dei Filistei. L’importante presenza nuragica, meglio rappresentata dal complesso  nuragico polilobato di “Sedda is Predis”, poco più ad oriente della città, ha indotto alcuni studiosi a intravvedere nella città di Neapolis un avamposto indigeno che instaura rapporti stagionali con i fenici nell’ambito dei commerci sin dall’VIII sec.a.C, con il pieno controllo delle risorse cerealicole e di quelle minerarie provenienti dalle aree del guspinese. A tutt’oggi risulta ancora difficile ipotizzare la nascita della città come Karales, Nora, Sulci e Tharros perché Neapolis non corrisponderebbe ai canoni dei più antichi siti Fenici. La sua posizione non è sulla costa come tutte le città fenice, ma questo non le ha impedito di dotarsi di una struttura portuale che sfrutta le profonde acque interne ed i ritrovamenti di ceramica etrusca, greco orientale, attica arcaica e punica databile al VI sec.a. C. ne testimoniano gli antichi traffici, pur  rimanendo ancora labili i dati che ci permetterebbero di attestarne l’origine fenicia. Mentre parrebbe certa la fondazione cartaginese sul finire del VI sec.a.C., con  il nome  QRT HDSHT (città nuova), pare in opposizione ad una città più antica Othoca (città vecchia) a Santa Giusta.

A questo periodo sembrerebbero riconducibili  le numerose figure fittili modellate a mano e facenti parte di un tempio di divinità salutare,  presumibilmente  in area extraurbana, che documenterebbe l’impiantarsi di un culto punico fin dal principio del V sec.a.C.

La cenerentola delle antiche città sarde ci svela di più per quanto riguarda il periodo romano sia per le emergenze che ancora si conservano sia per i dati rilevativi alle prime annotazioni come quelle che ci pervengono da Plinio il Vecchio nella nota formula provinciae Sardiniae contenuta nella Naturalis Historia ove ricorda i Neapolitani e a seguire Tolomeo, nel  II sec. d.C, che ne da la posizione geografica e le coordinate. Neapolis è compresa tra Hotoca e Metalla, posizione quest’ultima ripresa anche dall’Itinerario Antoniano redatto ai tempi di Caracalla. Mentre in età tarda ne parla  Palladio Rutilio Tauro Emiliano che deteneva dei possedimenti agricoli presso la città, nel trattato Opus agriculturae  ricorda, in particolare, la coltivazione dei rari e pregiati cedri. Non mancano le epigrafi anche se in numero limitato ed in particolare si richiamano le ultime due rinvenute negli scavi del 2000: la prima è una dedica all’imperatore Valeriano, mentre la seconda proviene da un frammento rettangolare di anfora, databile al III sec.d.C. che riporta il nome della città di Neapolis.

A metà del XIX secolo, il padre dell’archeologia sarda Giovanni Spano di Neapolis ne fa una descrizione dettagliata e corredata da importanti raffigurazioni come le piccole e grandi terme, il lungo ed importante acquedotto che alimentava il castellum acque a marcare l’importanza della città. Così pure narra delle cisterne che alimentavano i diversi quartieri dell’abitato e che accosta per tipologia, anche se più piccole, a quelle di Cartagine.

La prima indagine scientifica sulla città avvenne nel 1951 ad opera del Prof. Giovanni Lilliu che scavò presso le piccole terme mettendo in luce tratti di abitazione in opera a telaio che diedero il senso di trovarsi di fronte ad un abitato modesto. Questo elemento venne poi sfatato dalla seconda campagna di scavi del 2000 che mise in luce una importante trasformazione d’uso dell’area scavata dal Lilliu ed in particolare si rilevarono le mura di una fortificazione quadrangolare. Dalle analisi degli scavi, promossi dalla Soprintendenza Archeologica per le provincie di Cagliari e Oristano e dall’università di Sassari guidata dal Prof. Raimondo Zucca, che finalmente poteva intervenire sulla città a lui cara ed oggetto della sua tesi di laurea, emerse un Castrum che parrebbe  inquadrarsi nel programma difensivo promosso dall’imperatore bizantino Giustiniano I il Grande nel VI secolo d.C. e le modeste strutture abitative emerse pare fossero le abitazioni della  guarnizione militare.

Testa marmorea di Faustina

Nello stesso intervento venne sondata anche l’area di levante dove si ipotizza il Foro della città per i numerosi elementi di arredo urbano restituiti, come capitelli, rocchi di colonne, basi di statue, statue marmoree ed una copia dell’Afrodite Urania. Non ultimo è il fortuito ritrovamento della testa marmorea di Faustina  Maggiore (Annia Galeria Augusta) 105 – 140 d.C., moglie dell’imperatore Antonino Pio, madre di Faustina Minore e zia dell’imperatore Marco Aurelio.

Il ritrovamento nell’area del foro richiama il grande tempio a lei dedicato nel Foro di Roma, diventato poi, alla morte di Antonino, il Tempio di Antonino e Faustina.

Se per la fase romana non mancano elementi per ipotizzarne l’importanza della città, meno appariscenti risultano le tracce in fase medioevale che avvalorerebbero la tesi del suo lento ma inesorabile abbandono. In particolare sembrerebbero aver concorso al suo declino gli attacchi vandalici che interessarono l’isola sin dal 456 d.C., per proseguire poi con le scorribande arabe dal 711 d.C. in poi.

Pur soggetta ai pericoli esterni, parrebbe  che Neapolis si mantenga in vita anche in fase Giudicale tanto che gli storici la indicano come il primo capoluogo  della curatoria di Bonurzoli. Il suo declino sembrerebbe comunque inarrestabile, tanto che gli ultimi documenti del  XIII secolo parlano solo di una residua attività nel Portus Neapolitanus ed in particolare  di un imbarco di grano ad opera di mercanti pisani e il saldo di un mutuo a favore di Petruccius de Ligia di 44 soldi pisani da parte degli eredi di Gottifredo di Pietro d’Arborea.

Per il resto la storia della città, che ha restituito la più grande quantità di ceramica attica pur in assenza di scavi sistematici, attende d’essere svelata e il suo declino e scomparsa è ancora affidato   alla narrazione leggendaria di Lucia Deidda, raccolta agli inizi del novecento da Gino Bottiglioni che la pubblicherà nel libro “Leggende e Tradizioni di Sardegna”: La città di Napoli – “Li nella città di Napoli che era nel contado di Guspini c’era una bella ragazza come un occhio di sole. Questa bella ragazza viene domandata per isposa dal più ricco della città; ma questa ragazza che ne amava un’altro  gli ha tornato zucca (lo ha rifiutato). Lo sposo rifiutato ha ucciso lo sposo che aveva quella bella e buona massaia; dopo lo ha posto in una cassa e l’ha lasciato putrefare; poi (cuore cattivo) l’ha gettato nella fontana dell’acqua bella. L’acqua si è putrefatta e (una scarica di mali!) la gente bevendone di acqua ne ha preso una malattia grande che in poco tempo si sono spersi tutti grandi e piccoli. Dio inquieto ha mandato la maledizione nella città; fa una notte di tuoni, di lampi e di acqua (non mi ci sarei voluta io!), segue il terremoto; la mattina seguente non c’era più una casa, eccetto la chiesa che si vede ancora qualche muro” .

Neapolis – Chiesa di Santa Maria

La fantastica narrazione sicuramente si fonda sui principali eventi umani e naturali che ne hanno determinato lo spopolamento e l’abbandono. In particolare la lunga presenza barbaresca che certamente ha insidiato la città e la malaria che ha contribuito all’abbandono dei suoi abitanti verso luoghi più sicuri come Guspini, già nota agli abitanti ed alle autorità neapolitane per le escavazioni mineraria sin dal tempo di Adriano Augusto.

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