Andar per chiese antiche/La chiesa di San Cesello_a cura di Anna Palmieri Lallai
Una chiesa forse poco nota ai più è quella di San Cesello, che, priva di qualsiasi esuberanza architettonica, passa quasi inosservata al passante frettoloso e distratto. La chiesa si affaccia in uno slargo che, incontrando la via Piccioni, si forma quasi a metà della caratteristica via San Giovanni, che attraversa in tutta la sua lunghezza la parte storica del quartiere Villanova.
Il tempio religioso prende il nome dal giovanissimo martire sardo Cesello che, insieme all’amico e coetaneo Camerino, nel 304 fu martirizzato mediante decapitazione per aver seguito la fede cristiana sotto la guida di Lussorio, giovane ufficiale dell’esercito romano. Lussorio, infatti, come accadde per S.Efisio, ebbe l’incarico, come pagano, di perseguitare i cristiani, ma, al contrario, non solo si convertì, ma convertì, venendo di rimando condannato a morte. E il martirio dei tre santi si consumò con molta probabilità nei pressi della Porta Cabana o Porta Cavana, dove poi venne edificata la chiesetta, ma s’ignora perché questa sia stata dedicata solo a Cesello (forse perché il più giovane?), mentre i tre Santi sono raffigurati insieme in una grande tela esposta nella chiesa di San Lucifero, nella cui zona furono rinvenute le loro spoglie.
Ma, come spesso capita, fede, storia e tradizione popolare s’incrociano e talvolta si scontrano, soprattutto sul luogo del martirio di san Lussorio e della sua sepoltura tanto che diverse località sarde vantano legami col santo, col luogo del suo martirio e deposizione, anche perché, in periodo medioevale, nelle zone rurali talvolta un centro abitato si formava proprio nei pressi di un luogo sacro, vero o presunto, come per Santu Lussurgiu.
E’ documentato che Lussorio, di nobile famiglia cagliaritana, dopo essersi convertito, fu vittima delle feroci persecuzioni messe in atto dall’imperatore Diocleziano e, condannato a morte, non volendolo uccidere a Cagliari per la notorietà della Famiglia, fu indirizzato a Fordongianus, perché venisse sacrificato.
Ma la comunità non volle assumersi un onere così grave e il giovane, rispedito in città, dopo un breve soggiorno, uscendo dalla Porta Cavana, che segnava il limite del borgo, fu mandato in un luogo quasi deserto, presso Selargius, venendo martirizzato mediante decollazione il 21 agosto 304 insieme ai giovani Cesello e Camerino. A Selargius, infatti, ancora oggi, in occasione della sua solennità, è festa manna nella chiesetta campestre intitolata al santo martire dove pare che in un reliquiario sia gelosamente custodita una sua falange.
Il cranio del Santo, chiamato San Rossore, si trova, invece, a Pisa. Nel Museo Nazionale d’Arte di S.Matteo è esposto un reliquiario, realizzato in bronzo dorato da Donatello verso il 1424, per custodire il cranio del santo, oggi invece visibile in una teca vetrata nella chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri.
Pertanto, procedendo solo secondo fede e tradizione popolare, la chiesetta è stata innalzata dove si è consumato il martirio dei tre santi, che, al pari di tanti altri martiri cristiani, furono sepolti nella vasta zona cimiteriale cattolica ubicata tra la Basilica paleocristiana di S.Saturnino e la chiesa di S.Lucifero, in Villanova. Le loro le spoglie, recuperate durante gli scavi effettuati nella zona nel ‘600 per volere dell’allora nostro arcivescovo Francesco D’Esquivel, oggi si trovano in Cattedrale, in una nicchia della cripta Santuario dei Martiri sardi.
Quindi la chiesa di San Cesello è stata edificata nei pressi della Porta Cavana o Porta Cabana, inserita nella cinta muraria. Il quartiere di Villanova, infatti, al pari degli altri rioni storici, soprattutto per motivi di difesa, fu cinto da alte mura medioevali interrotte da torri e con tre varchi per permetterne il contatto con il resto della città. In particolare la Port’a Bidda Noa, ad oriente, permetteva uncollegamento con i quartieri Castello e Marina; la Porta Romero, quasi al centro, si apriva verso l’aperta campagna, mentre, ad occidente, la così detta Porta Cavana costituivano un avvicinarsi alla vicina fertile campagna del Campidano, rinomata per i suoi orti e vigneti. Cavana, inoltre, secondo l’antico gergo popolare, era la cesta con cui icontadini trasportavano i loro prodotti. Questa porta fu storicamente la prima ad essere eliminata all’inizio dell’Ottocento, al fine di inglobare nel rione quanto col tempo si era edificato extra muros.
La chiesa, quasi una chiesetta campestre, si presenta piccola e dall’aspetto esterno piuttosto semplice e modesto che ben s’intona col resto del rione che la ospita. Il suo prospetto piano, dalla forma quadrangolare, a un solo livello, ha l’ingresso preceduto da una breve scalinata che serve a superare il dislivello stradale. Il portale ligneo, a due battenti lavorati a cassettoni, appare delimitato da una cornice modanata con una lunetta ogivale cieca sovrastata da un loculo in asse che contribuisce a illuminare l’interno in direzione della cantoria. Il coronamento finale lineare è valorizzato da un campanile a vela a doppia luce con relative campane, i cui rintocchi scandiscono le ore della preghiera e del lavoro. Mentre sulla sinistra è ancora murata la formella della quarta stazione della Via Crucis all’aperto che in passato si svolgeva per le vie storiche di Cagliari.
La chiesa, dal 1951 retta dalle suore claustrali Sacramentine, fu edificata nel mese di maggio del 1702 dal Gremio dei bottai e scaricatori di vino, come ricorda una lapide in marmo, con iscrizione in lingua spagnola, collocata all’ingresso, sulla destra. L’edificio fu costruito per volere di un certo Antioco Fadda e di altri membri dell’antica corporazione di arti e mestieri, risalente al 1639. Il gremio, infatti, dopo aver avuto ospitalità nella chiesa di Sant’Antonio Abate (Marina), decise di costruirsi una sede o Oratorio nel rione da sempre abitato quasi esclusivamente da contadini ed agricoltori e dove, in pratica, svolgevano la loro attività. Scelsero, pertanto, una posizione veramente strategica perché la sede fu edificata, in prossimità della porta Cabana o Cavana, l’unica rivolta nel versante occidentale della città, da dove, come accennato, provenivano i prodotti venduti in città. Il gremio, istituito durante il periodo aragonese e definitivamente abolito nel 1864 con l’Unità d’Italia, aveva lo scopo non solo di aiuto reciproco tra i membri, ma anche di organizzare la festa in onore del santo protettore, San Cristoforo, e in suo onore ogni anno, l’ultima domenica di Luglio si svolgeva una grande festa.
Con l’evolversi dell’attività vinicola, il gremio perse la sua primitiva importanza fino a scomparire e la sede, dopo un lungo abbandono, fu affidata verso il 1951 alle Sacramentine, suore claustrali, dedite all’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, sempre esposto nell’altare. Il loro ordine religioso fu istituito da Beata Maria Maddalena dell’incarnazione, al secolo Caterina Sardini (1770-1824), il cui simulacro è esposto all’interno, sulla destra del presbiterio. Durante le fasi di ristrutturazione del sito fu casualmente ritrovata la grande statua lignea di San Cristoforo, raffigurato gigantesco con Gesù Bambino sulle spalle, oggi custodita nel Museo Diocesano, in via del Fossario.
Saliti i pochi gradini e superata una bussola anch’essa semplicissima, sovrastata dalla tribuna del coro, si è all’interno; subito sulla destra è murata una lapide marmorea con iscrizione spagnola che ricorda i soci fondatori del gremio dei bottai e scaricatori di vino, mentre mi incuriosisce una bella acquasantiera, pronta a darmi il primo invito alla preghiera e alla meditazione. Realizzata in marmo, riproduce nel bacile sette pesci guizzanti in altorilievo, simbolo di resurrezione, al pari dei pesci riprodotti nell’acquasantiera della basilica paleocristiana di S.Giovanni di Sinis e della cattedrale di Ales.
L’interno, piccolo e luminoso, si presenta a navata unica rettangolare voltata a botte e subito lo sguardo si rivolge verso il presbiterio, che, rialzato per la presenza di una cripta sottostante, ha un modesto altare maggiore in marmo come la balaustra che delimita anche la scaletta centrale.
La parete di fondo è completamente occupata da un pregevole quanto ormai raro retablo barocco ligneo del ‘700, di probabile bottega locale, vero vanto dell’intera chiesetta. Quattro colonne tòrtili dorate, mentre danno prestigio a tutto l’insieme, lo dividono in tre zone: in quella centrale, dentro una bella nicchia cassettonata, è inserito un mirabile ostensorio col Santissimo Sacramento sempre esposto alla venerazione dei fedeli, ma soprattutto delle religiose. Nei due riquadri laterali spiccano due grandi dipinti di scuola spagnola, che illustrano il martirio dei tre Santi avvenuto con molta probabilità il 21 agosto del 304.
In particolare, nella tela di destra, viene raffigurata la cattura di San Lussorio presso la Porta Cavana, ormai inesistente: questa è rappresentata come una torre merlata (che ricorda i quattro merli traforati della chiesa di San Benedetto-1643) e architravata, con l’iscrizione di Porta Cavana. Questo dipinto rappresenta l’unica testimonianza pittorica che ci permette con certezza la ricostruzione della porta. Nel dipinto di sinistra, invece, è illustrato il martirio del Santo, mentre i giovani Cesello e Camerino, già con le braccia legate, aspettano la stessa dolorosa sorte. Il retablo termina con una ricca trabeazione reggente una cimasa a forma di edicola con volute laterali.
Lateralmente, nella breve navata, si aprono due piccole cappelle, appena accennate: una è dedicata alla Madonna con il Bambino; l’altra, sulla sinistra, a San Giuseppe. Entrambe sono realizzate in mosaico con sfondo dorato ed evidenziano origine recente.
Nella cantoria, collocata sopra la bussola, pregano e cantano, senza essere viste, le suore di clausura: sono le Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento o Sacramentine, che,a turno, innalzano le loro preghiere, come atto di fede e di devozione.
La loro vita è scandita da ritmi sempre uguali: sveglia molto presto, alle 5,30, seguono le lodi, la messa, poi l’ora terza della liturgia ed il lavoro. Dopo il pranzo e la ricreazione, di pomeriggio, ancora silenzio, lavoro e, alle h. 19 i vespri seguiti dalla cena e dal riposo notturno, interrotto dai turni di adorazione davanti al Santissimo Sacramento.
La chiesa di San Cesello è internamente comunicante con il convento, che risulta retrostante con affaccio e ingresso nella parallela via S.Saturnino. un tempo scherzosamente denominata “via delle coppiette”, per l’oscurità che la caratterizzava.
Il monastero sorse per volere ed interessamento di Madre Maria Modestina, su concessione di Monsignor Ernesto Maria Piovella, e fu consacrato nel 1949. Finalmente le Suore, dopo aver trovato per diverso tempo ospitalità religiosa presso la vicina chiesa di San Mauro, ebbero la loro sede. Più tardi sotto l’arcivescovo Paolo Botto, nel frattempo succeduto a Monsignor Piovella, la chiesa, consacrata e riaperta al culto, fu affidata alle Suore. Il loro è il secondo convento di Clausura in città, dopo quello più antico delle Clarisse Cappuccine, risalente al 1711 ed ubicato in Marina, ai piedi di Castello, tra le vie Spano e Cima.
Attualmente le Sacramentine alternano alla preghiera il lavoro: sono loro, infatti, che con macchinari moderni preparano le ostie che vengono destinate alle chiese della città e dell’isola.
Sono consapevole di aver visitato una chiesetta ricca di fascino antico, dove la più autentica spiritualità si respira ovunque e il suo profondo silenzio m’invita alla preghiera e a un’intima meditazione.