Marzo 29, 2024

Andar per chiese antiche … Il sacro simulacro di Bonaria venne dal mare _a cura di Anna Palmieri Lallai

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Bonaria, un nome che racchiude in sé tanta storia, cultura, arte, natura, ma, soprattutto, tanta fede e autentica devozione. Cagliari, infatti, è una città ricca di profonda e sincera spiritualità.

 Ma torniamo indietro nel tempo!

 Nella parte sud-orientale di Cagliari s’innalza una collina, una delle tante che costellano il nostro territorio, che, in tempi andati, distava circa un chilometro dalla città vera e propria.

La zona, allora silenziosa e verdeggiante, con affaccio sul mare, venne scelta dai Cartaginesi, prima, e dai Romani, dopo, come zona cimiteriale, creandovi una necropoli scavata nella roccia calcarea di cui oggi, purtroppo, restano solo poche testimonianze, in gran parte svilite nella loro importanza.

Questa collina, nel corso del tempo, cambiò più volte nome, da quando gli antichi Romani vi avevano fondato, per loro uso, uno stabilimento di bagni pubblici, detto Balnearia, che, con vari passaggi filologici, divenne Bagnara e, successivamente, Bonayre, nome forse dato dall’infante Alfonso il Magnanimo, che l’aveva conquistata, sempre ammesso che vi spirasse un’aria buona e salubre, ma forse solo con riferimento allo spirare di venti favorevoli alla navigazione.

In questa zona, alle falde del colle, sorse il primo tempio cristiano, chiamato S. Maria de Portu de Grottis o S.Maria in Portu Gruttao, con riferimento sia alle grotte del territorio sia alla vicinanza del porto. E proprio dal mare, che abbiamo sempre temuto perché, nel corso dei secoli, dal mare sono arrivati i nostri dominatori, è iniziata la radicale trasformazione del colle…e inizia la nostra storia che sa solo di miracoloso.

La nostra storia, infatti, fatta da un alternarsi di dominatori, è piuttosto lunga, ma sono soprattutto due Papi che contribuiscono a scriverla: papa Onorio III quando, col suo beneplacito silenzio, nel 1217, favorisce la cessione del Mons de Castri ai Pisani, da parte di Benedetta di Massa, giudicessa di villa S. Igia che portò alla successiva realizzazione del Castrum Caralis, l’attuale Castello, e Papa Bonifacio VIII, quando, nel tentativo di porre pace tra gli Angioini e gli Aragonesi dopo la guerra dei Vespri siciliani-1282- con la Bolla Super reges et regna, del 1287 istituisce motu proprio, di sua iniziativa, il Regnum Sardiniae et Corsicae, assegnando in feudo perpetuo la Sardegna a Giacomo II il Giusto, re d’Aragona, e la Sicilia agli Angioini.

Ma dopo un quarto di secolo dall’investitura papale, nel 1323 gli Aragonesi, non accontentandosi del solo titolo, iniziano la conquista militare della Sardegna con l’infante 24enne Alfonso il Magnanimo, erede al trono d’Aragona, che, sbarcato nel sud della Sardegna, dopo aver affrontato diverse resistenze e il nemico pisano nella battaglia di Lutocisterna (attuale via del Fangario), si arrocca sul colle di Bonaria, di fronte al Castrum, con lo scopo principale di scacciare i Pisani e conquistare il Castrum.

Qui, sul colle, in attesa, realizzarono dapprima un presidio militare poi addirittura una cittadella, detta Barcellonetta, che venne cinta da mura fino alla chiesa paleocristiana di S. Saturnino e oltre. E sempre sul colle, tra il 1324 e il 1325, edificano una piccola chiesa, la prima nel loro caratteristico stile gotico-catalano, dedicandola alla SS.Trinità e alla Beata Vergine Maria, non solo come ringraziamento perché l’infante Alfonso, ferito in combattimento, si salvò, ma anche con la speranza che la zona diventasse il centro religioso della loro comunità. A tale scopo chiamarono da Barcellona un gruppo di seireligiosi Mercedari perché si prendessero cura della loro vita spirituale.

I Mercedari, lo sappiamo, sono così denominati dalla Madonna della Mercede o del Riscatto, che nel lontano 1218 apparve in visione al laico Pietro Nolasco, incitandolo a fondare un ordine religioso per la redenzione degli schiavi, Ordine che si costituì ufficialmente il 10 agosto 1218 nella cattedrale di Barcellona con Bolla papale Devotionis vestrae di Gregorio IX. Col tempo gli Aragonesi riuscirono nel loro intento, scacciarono i Pisani dalla rocca castellana diventando il 24 aprile 1326 i nuovi padroni e il Castel di Castro diventa Castell de Caller.

Stemma dei Mercedari

Come segno di conquista issano sulla torre di S.Pancrazio il loro vessillo, caratterizzato da 4 pali rossi o barras in campo dorato. Più tardi, il 17 ottobre 1335, gli stessi Aragonesi, ormai abbandonato il colle di Bonaria e relativa chiesetta, con Alfonso IV affidarono ufficialmente e in perpetuo la chiesa e alcuni terreni limitrofi ai Padri Mercedari, per costruirvi un cenobio, che sotto la guida del cagliaritano fra’ Carlo Catalan, divenne ben presto un punto di ri ferimento religioso per la città e non solo. Il convento fu subito messo non solo sotto la protezione della Madonna della Mercede che li denomina, ma anche sotto quella della Corona d’Aragona (frutto dell’unificazione della Catalogna e Aragona), come evidenziato dal loro stemma che riporta le famose quattro barras aragonesi che, simbolicamente, indicano anche le sbarre dei carcerati.

Ma un fatto veramente prodigioso, previsto dal Catalan, investì questo piccolo complesso mercedario, modificandone le sorti.

 Era, infatti il 25 marzo 1370, festa dell’Annunciazione, quando un grosso vascello spagnolo, carico di mercanzie, in una giornata di tranquilla navigazione, fu investito da una improvvisa quanto terribile tempesta nella rada di Cagliari e il comandante, dopo vari tentativi di raddrizzare l’imbarcazione, nella speranza di salvare sé e l’equipaggio, ordinò di gettarono in mare tutto il carico, compresa una cassa, di cui s’ignorava il contenuto, e che pare avesse inciso lo stemma dell’Ordine mercedario.

Non appena questa toccò le acque, nonostante il peso, non affondò, ma anzi galleggiò, il mare si calmò all’improvviso e gli uomini e la cassa, spinti dalle onde, recuperarono, sani e salvi, la riva. Da subito i marinai, scampati alla morte, ma ben esperti del mare e delle sue regole, capirono che qualcosa di eccezionale doveva essere capitato e, quasi per istinto, lo attribuirono alla cassa e al suo contenuto.

Simulacro della Madonna di Bonaria

Così, incuriositi, tentarono, ma inutilmente, di aprirla finché, su consiglio di un bambino presente nella spiaggia, vennero chiamati i Mercedari del vicino convento, che, caricata senza difficoltà la pesante cassa sulle spalle, superando una salita impervia, la trasportarono fino all’interno della loro chiesetta, dove la depositarono, l’aprirono e vi trovarono il simulacro della Madonna. La profezia di fra’ Carlo Catalan si era avverata

Questo simulacro in legno intagliato, policromato e dorato, è alto circa m 1,56 cm, realizzato con un unico legno di carrubo, vuoto all’interno e poggiante su un piedistallo lavorato a traforo con decori gotici di cm 11. La statua, a figura intera e dritta, è coperta da una tunica rossa, ricamata e decorata con fiori d’oro, cinta ai fianchi da un’alta fascia, sovrastata da un ampio mantello azzurro panneggiato che, lasciando libero il petto, le copre dolcemente anche le braccia.

Un fermaglio chiude al centro il mantello, mentre dal lungo abito fuoriesce parte del piede destro al pari delle statue greche. Il capo è nudo, il viso dolce, i capelli scuri e lunghi si spargono per le spalle, lasciando completamente libera la fronte e il viso leggermente ambrato.

La statua regge con la mano destra, tesa, una candela accesa e con la sinistra tiene in braccio il suo Bambinello nudo, riccioluto, che, a sua volta, regge con la manina sinistra, il globo terrestre, sinonimo del mondo, mentre la manina destra è in atteggiamento benedicente. I suoi piedini al pari della mano destra della Madonna risultavano leggermente affumicate, segno che la candela era accesa nella cassa e la fiamma, con l’ondeggiare del mare, aveva causato queste piccole “scottature”.

La statua, di probabile scalpello italiano, e forse non troppo precedente al momento del suo ritrovamento, forse in stile bizantino, presenta tracce di un probabile estofado de oro che si evidenzia nei decori dorati riportati sia nella veste che nel manto che appaiono come stoffe dipinte. Ancora non si sa chi sia l’autore, chi l’abbia commissionata, dove fosse diretta e destinata, e perché si trovasse in quel battello ed è forse questa coltre di mistero che la rende ancora più affascinante tanto da tralasciare e rendere superflua, almeno per me, qualsiasi questione puramente accademica sullo stile e sulla datazione della statua.

  Il sacro simulacro della Madonna di Bonaria era custodito in una cassa lignea, piuttosto pesante e robusta, quasi delle stesse misure della statua. Lunga circa m 1, 75 centimetri e larga 70 centimetri per un’altezza di cm76, non è formata da legni nobili, ma, al contrario, il fondo è costituito da semplici assi di faggio, le parti laterali sono forse di carrubo al pari del simulacro, mentre il coperchio è formato dall’assemblaggio di assi di noce. Si ritiene che al momento del ritrovamento la cassa fosse chiusa a chiave, ma che nell’aprirla, forse per la grande emozione, la serratura sia stata danneggiata e persa. Manca, ugualmente e inspiegabilmente, non solo lo stemma mercedario, che pare fosse impresso sulla cassa, ma anche parte della cassa i cui frammenti venivano dati ai naviganti come piccole “reliquie” da gettare in mare per propiziare un viaggio sereno o salvarsi da un mare in tempesta. A lungo la cassa fu esposta nell’altare maggiore, lato destro, vegliata da frati, ma, col tempo, si rese necessario spostarla e oggi la vediamo esposta lungo il corridoio che fiancheggia la sacrestia, protetta da una vetrata, ma visibile ai pellegrini.

Iniziano i pellegrinaggi

I padri Mercedari, in attesa di prendere decisioni più mirate, collocarono la statua in una cappella laterale, sulla destra della navata, anche perché nell’altare maggiore si trovava da sempre un altro simulacro della Madonna, chiamato del miracolo. Ma nottetempo, i due simulacri, per diverse volte, si scambiarono la posizione così che i Mercedari si adattarono alla nuova realtà e, quasi contemporaneamente, decisero di denominare il nuovo simulacro “Madonna di Bonaria” dal luogo del suo storico ritrovamento.                       

La notizia dell’approdo della cassa col sacro simulacro della Madonna, come spinta dal vento, si sparse rapidamente per tutto il Mediterraneo, e furono, in particolare, i naviganti che la considerano da subito la loro protettrice. Iniziarono i pellegrinaggi e si raggiunse, anche a fatica e con ogni mezzo, il santuario per rendere omaggio alla Madonna venuta dal mare e molte furono le preghiere e le invocazioni di protezione rivolte anche sottovoce ai piedi del simulacro, tanto che molte imbarcazioni dirette oltre oceano avevano dipinta l’immagine della Madonna e la sua icona era spesso riportata nelle carte nautiche.

 Iniziarono anche le attestazioni di voti e tra questi la nota “caravella” che, dal 1370 circa, legata a una lunga cordicella di canapa, pende dall’alto dell’arco trionfale in direzione del sacro simulacro. Preziosa soprattutto per il suo alto valore simbolico, la navicella, in avorio scavato all’interno, ben levigata e proporzionata, presenta un solo albero fissato al centro da alcuni fili d’argento ormai anneriti. Lunga circa cm 30 e larga cm 9,5, col suo peso di kg 1,700, è, ancora oggi, carica di sguardi e di mute preghiere, avvolta da un alone di magico mistero.

La caravella d’avorio- antico ex voto sec. XIV

Si tramanda che una pellegrina, rimasta anonima, mentre vagava per il mare diretta forse in Terra Santa, arrivò nella baia di Bonaria e spinta dal desiderio di vedere il sacro legno, raggiunse il santuario e, spontaneamente, volle lasciare come testimonianza della sua fede, una navicella d’avorio, che, con la prua, sembrerebbe indicare la direzione dei venti che spirano nel golfo.

Comunque sia, anche fra tanta incredulità, constatato che né l’avorio né la cordicella erano la causa motrice dell’improvviso e repentino movimento, la prodigiosa “navicella”, divenne per i naviganti subito un importante punto di riferimento e prima d’intraprendere un lungo viaggio, capitani, marinai, e non solo, si recavano a consultarla per constatare se spirasse il vento favorevole per prendere la via del mare assicurandosi, così anche un felice ritorno.

La sua realizzazione e il suo “movimento” hanno da sempre interessato i naviganti e gli esperti che hanno appurato anche l’antichità del veliero che, avendo un solo timone poppiero, in uso nel sec. XIII, risalirebbe quasi sicuramente a quel periodo. La caravella resta l’unico e più antico ex-voto rimasto all’interno del Santuario, e la “fama” del suo movimento “misterioso” che segue lo spirare dei venti, ancora ci affascina ieri come oggi.  Ma come talvolta capita, le voci corrono e si rincorrono, e, tra realtà e fantasia, tra sacro e profano, specie nel sec. XVI furono forse troppi, troppo confusi e talvolta inverosimili i miracoli o i fatti prodigiosi attribuiti alla Madonna per sua intercessione.

Pertanto, nel 1592, su richiesta degli stessi Padri Mercedari e su iniziativa dell’arcivescovo di Cagliari, Francesco Del Vall, venne istituito dal 4 marzo al 31 luglio un serio e rigoroso processo canonico, per eliminare, anche sulla base degli ex voto, dai fatti reali quelli che di reale avevano ben poco.

Furono testimoni del processo, fra l’altro, il giureconsulto Monserrato Rossellò (1568-1613), membro della Reale Udienza-istituita da Filippo II nel 1564 su richiesta del Parlamento Sardo perché i processi si svolgessero in Sardegna e non più in Spagna, e il teologo padre Antioco Brondo, priore dell’Ordine. Dopo la dovuta e necessaria scrematura, i risultati del processo furono riportati nell’opera del Brondo, del 1595, l’Historia y milagros de N.S. de Buen Ayre de la ciutat de Caller de la isla de Cerdena, redatta in catalano in due volumi: nel primo si descrive l’origine del culto della Madonna, nel secondo i vari miracoli, circa 200, accertati e documentati, avvenuti per sua intercessione. Il documento, preziosissimo, dei reali miracoli avvenuti per intercessione della Madonna fu oggetto di consultazioni da parte di molti studiosi, finché, quasi all’improvviso, sparì e rimase latitante a lungo. Finché nel 2018 è stato recuperato, ritornando a pieno titolo nell’archivio diocesano, grande patrimonio culturale cittadino. Ma, naturalmente, i salvataggi avvenuti per intercessione della Madonna di Bonaria non si sono interrotti nel tempo, anzi, e ancora oggi, fiduciosi, La invochiamo perché ci liberi dal “flagello” moderno della pandemia.

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