Dicembre 14, 2024

Andar per chiese antiche/La chiesa di San Giuseppe in Castello_a cura di Anna Palmieri Lallai

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In Castello, nel cuore della città antica, un tempo Castrum Kalaris, in uno dei punti più suggestivi della mia Cagliari, si trova la chiesa di San Giuseppe, che, col suo maestoso prospetto barocco, nomina e denomina la piazzetta antistante, una sorta di slargo formato dalla confluenza tra le vie Santa Croce, Corte d’Appello, Vico I dei Genovesi e via S.Giuseppe. L’edificio religioso, situato in forte pendenza, si trova quasi a ridosso della Torre dell’Elefante, innalzata dai Pisani, verso il 1307, come sentinella del versante meridionale dello storico quartiere.                        

Castello- La chiesa di S.Giuseppe
e la torre dell’Elefante

La chiesa fu costruita dai Padri Scolopi, Ordine fondato a Roma nel 1617 da S. Giuseppe Calasanzio (16171592), che, giunti a Cagliari verso il 1635, dopo aver avuto provvisoria ospitalità presso i Francescani Minori nella primitiva sede di Santa Maria di Gesù, in Villanova (ex Manifattura dei Tabacchi), officiarono per un breve periodo la chiesa della SS. Annunziata, in Stampace, lasciata dai Padri Minimi per trasferirsi nell’attuale chiesa di S.Francesco di Paola, via Roma (Marina).

Più tardi, anche su invito della nostra Municipalità, gli Scolopi si trasferirono in Castello, dove, tra il 1640 e il 1641, edificarono un complesso tanto vasto da abbracciare una zona che da via S.Giuseppe si estendeva, in senso longitudinale, fino alla sottostante parallela via Università, l’antica s’arruga de su Balixi. La costruzione era così ampia da comprendere, nel suo insieme, oltre il convento e l’annesso Collegio (con ingresso in via S.Giuseppe, per anni sede del Liceo artistico statale), anche la chiesa, che, iniziata più tardi, nel lontano 1663, si concluderà, con diverse interruzioni, solo verso il 1735, ben 72 anni dopo la benedizione della prima pietra.

Questo grande complesso religioso fu costruito, quindi, dai Padri Scolopi, così denominati per aver istituito le “Scuole Pie”, che offrivano assistenza gratuita, anche culturale, ai giovani bisognosi, anticipando così, di gran lunga, quella che poi sarà la riforma innovativa della scuola pubblica “obbligatoria e gratuita”. Edificarono quasi in antitesi con i Padri Gesuiti, che, qui, in Castello, tra le attuali vie Santa Croce e Corte d’Appello, già da tempo (1564) avevano il loro Collegio, ma dedicato esclusivamente all’istruzione del clero, il cui Noviziato aveva sede presso la chiesa di San Michele arcangelo, nei locali oggi occupati dall’Ospedale Militare, in Stampace storico.

Prospetto barocco chiesa di S.Giuseppe
Prospetto barocco chiesa di S.Giuseppe

La chiesa, collegata internamente con l’intero complesso mediante un cortile a foggia di chiostro dove, in passato, si trovava un pozzo, presenta una bella facciata barocca, piuttosto lineare, misurata ed elegante nella sua semplicità, scandita in due ordini sovrapposti e fra loro delimitati da una grossa cornice dentellata.

Nella parte inferiore, superato il dislivello stradale con una breve scalinata, si apre un grande portone ligneo, che, lavorato a cassettoni bugnati, è contornato da una modanatura sobriamente decorata e affiancato da tre lesene per lato con capitello ionico. Lo sovrasta un timpano curvilineo spezzato che ospita lo stemma coronato dell’Ordine, scolpito in marmo bianco, che riporta al centro la Croce della Passio contornata da raggi.

Sulla destra è ancora murata la formella della IX stazione della vecchia Via Crucis all’aperto che, in passato, a partire dal 1933, si svolgeva per le vie principali della città su iniziativa dei Francescani di S.Rosalia e volere dell’arcivescovo di città Mons. E.M. Piovella.

Portale con timpano curvilineo 
Stemma dell’Ordine Scolopi

La parte superiore dell’edificio, anch’essa delimitata da un grosso cornicione dentellato, presenta al centro un grande finestrone con protezione lignea affiancato da una coppia di lesene per lato, in asse con le inferiori, mentre due ampie volute laterali contribuiscono a dare maggiore slancio all’intera facciata.

Sopra la grande finestra è collocata una lapide – troppo alta per poter essere letta agevolmente- con scritta latina, in cui si riporta, in particolare, la data die 18 mensis octobris Nativitatis Dominicae MDCXXXXI (1641), anno della fondazione non della chiesa (1663-1735), come erroneamente si pensa, ma solo dell’attiguo convento, sul cui portale, in via S.Giuseppe, viene nuovamente riprodotto in marmo un piccolo stemma scolopiano, scolpito in marmo con il “Monogramma della Madonna, Madre di Dio”.

 La scritta della lapide è così alta che, ironicamente, il canonico Giovanni Spano, nella sua “Guida di Cagliari e dintorni” del 1861, “ipotizza” che sia stata collocata in quel punto per essere vista e letta solo dagli uccelli, ma oggi, con gli strumenti a nostra disposizione, e con pazienza, almeno per gli appassionati della materia, diventa un po’ “leggibile”.

Una campana del campanile a vela

La chiesa presenta una bella cupola ottagonale piacevolmente maiolicata su tamburo finestrato e classico lanternino finale, il tutto purtroppo visibile solo in parte da via Università, mentre nello spazio tra la chiesa e l’entrata alla torre si ammira, leggermente arretrato, un campanile a vela, a due luci, che ancora ha in loco una sola campana fusa in bronzo, datata 1585 con lo stemma d’Aragona, segno evidente che non è coeva alla chiesa, ma precedente e qui riutilizzata. Uno sguardo più attento mi permette anche di ammirare due bei balconcini con ringhiera in ferro battuto nella parte più alta dell’ex convento, fronte via Università.

Epigrafe latina nella lapide superiore

La chiesa “scolopiana”, come ricorda il canonico Spano, era una delle chiese cittadine più belle, depositaria di storia e di tanta arte sacra (statue, dipinti, oggetti d’arredo), dove il barocco diventa sobrio, senza eccessive ostentazioni decorative. Realizzata in grossi blocchi calcarei, s’ignora il progettista della chiesa anche perché gli Scolopi, di norma, utilizzavano quasi sempre lo stesso progetto di base, modificandolo e adattandolo di volta in volta alla nuova realtà dei luoghi.

Così superato l’ingresso e varcata la semplice bussola lignea, è subito percepibile il triste senso dell’abbandono. La chiesa ha impianto planimetrico a navata unica rettangolare voltata a botte e tre cappelle per lato, con riferimento alla SS. Trinità, secondo i dettami voluti dal Concilio di Trento. All’ingresso mi accoglie una piccola acquasantiera “sospesa” in marmo bianco, mentre nel coro sovrastante ancora si ammira quello che resta di un antico organo a canne, che forse non farà mai più diffonderà le sue armoniose note tra queste pareti.

Il presbiterio, particolarmente profondo e leggermente sopraelevato rispetto al livello dell’aula con pavimento marmoreo, delimitato da una balaustra marmorea, è sormontato da un alto arco trionfale a tutto sesto ed è arricchito da un maestoso altare, che, realizzato secondo i canoni del ’600 e del ‘700, occupa l’intera zona sia in altezza che in larghezza.

L’altare maggiore, di particolare pregio, in marmi policromi intarsiati, è realizzato a “ventaglio”, con tabernacolo e una serie di mensole sovrapposte che si susseguono fino ad arrivare ad una nicchia centrale. Questa, affiancata da una coppia di colonne a spirale in marmo nero sovrastate dalla fiamma della Purificazione, oggi si presenta vuota, ma forse in origine doveva contenere un quadro del Santo titolare, dovuto al pennello del pittore cagliaritano dell’800, Giovanni Marghinotti (1798-1865).

Il tutto culmina con due Angeli in candido marmo, genuflessi e oranti, sovrastati dal simbolo dello Spirito Santo. Questo capolavoro, risalente al 1777, è frutto della maestria del comasco Giovanni Battista Franco, marmoraro di bottega stampacina, che, in città, ha lasciato altre testimonianze della sua arte nella chiesa di S.Efisio, in Stampace che in quella di S.Giacomo, in Villanova.

Alle pareti presbiteriali e lungo le navate restano delle cornici ottagonali desolatamente vuote, ma in passato custodivano delle tele raffiguranti episodi della vita o miracoli del Santo, oggi custodite in parte nelle chiese di S.Giacomo e S.Lucifero. Diverse opere pittoriche, attribuite anche ai grandi Sebastiano Scaleta e al suo allievo Massa, purtroppo, oggi sono disperse o hanno cambiato destinazione.

Tela raffigurante un “miracolo” di S.Giuseppe
Chiesa S.Lucifero

La zona presbiteriale è sovrastata, come accennato, da una cupola ottagonale, in passato forse affrescata, che, nel campo architettonico, in questo periodo, ha sostituito la tipica cupola gotica a crociera. Il presbiterio, data la sua profondità, all’occorrenza veniva sapientemente celato e trasformato in palco teatrale, alle cui rappresentazioni potevano assistere, oltre i giovani ospiti interni, anche il pubblico esterno, evidenziando in questo modo lo spirito divulgativo dell’istruzione che era lo scopo principale dell’ordine.  

Interno della chiesa scolopiana in Castello (foto d’archivio)

Lungo le navate si aprono le cappelle laterali, che, illuminate da ampie finestre ad arco ribassato con struttura lignea, sono tutte uguali, comunicanti sia tra loro che con l’attiguo convento. Attualmente vuote, in passato erano dotate di un piccolo altare in marmi policromi intarsiati, balaustra marmorea, voltate a botte e delimitate da un alto arco a tutto sesto.

 Tra la seconda e la terza cappella di sinistra si erge ancora il pulpito (“sa trona”) in marmi policromi, con piedistallo e stemma dell’Ordine nel pannello centrale,  mentre, appoggiata al limite della navata, una lapide ricorda la presenza di una grossa palla di cannone lanciata dal mare contro l’edificio religioso durante l’assedio delle forze francesi del 1793, di cui restano altre testimonianze nel vicino palazzo Boyl – ex torre del Leone o dell’Aquila-  all’ingresso della chiesa di Sant’Efisio e di S.Rocco.

Accanto al presbiterio si apre la sacrestia che ancora evidenzia nelle volte lo splendore degli affreschi che la abbellivano, mentre nella biblioteca (per mia fortuna a suo tempo visitata con la chiesa), restano parte delle alte scaffalature settecentesche a due livelli, color avorio con decorazioni dorate, disposte lungo le pareti e costruite in funzione della sagoma delle grandi finestre che qui si aprono. A testimonianza del passato splendore, sul candido soffitto a botte, si ammira ancora al centro un affresco con la riproduzione dello stemma ufficiale dell’Ordine, questa volta ben visibile e leggibile: una grande doppia M e delle lettere greche: MP e OY, per simboleggiano il motto “Maria, Madre di Dio”.

L’ex-complesso religioso degli Scolopi era sicuramente di prestigio e di notevole rilevanza per la città; nell’atrio del collegio una lapide marmorea ricorda la visita effettuata dal re Carlo Alberto nel 1841 e nel collegio, molto prima, venne ospitato mons. Melano, allora professore di teologia, e poi Arcivescovo di Cagliari.

Questo vasto complesso è stato testimone silenzioso di diversi eventi bellici, che, nel tempo, l’hanno profondamente ferito. Infatti, ha assistito, impotente, ai disastri della guerra di successione austriaca, che, nel 1717, ha visto il Castello fortemente danneggiato dalle cannonate spagnole nel tentativo di riprendersi la città ceduta agli Austriaci col trattato di Utrecht del 1713. Ha conosciuto l’assedio delle truppe francesi che, nel 1793, sperarono di conquistare Cagliari, tanto che una palla di cannone, come detto, è conservata all’interno della chiesa come testimonianza storica.

Più tardi la chiesa castellana fu soggetta, come tante altre, alla legge sulla soppressione degli ordini religiosi e la successiva confisca dei loro beni, che passati nella disponibilità del Demanio e poi del Comune, sono andati in gran parte dispersi o custoditi in altre chiese. Infine è stata vittima involontaria dell’ultimo conflitto mondiale e dei bombardamenti su Cagliari del 1943, riuscendo, per fortuna, sempre a risorgere anche se in modo incompleto.

La chiesa, che rientra nel patrimonio del Comune di Cagliari, negli anni ’50, ha goduto di un primo intervento da parte del Genio Civile, ma, dopo una breve riapertura, successive infiltrazioni ne hanno disposto la chiusura e ancora oggi, nonostante un intervento avvenuto verso il 2000, la chiesa, sconsacrata, non è accessibile né ai fedeli né ai visitatori. Visitabile solo in circostanze più che rare, ormai quasi dimenticata, tolta alla mia e alla nostra attenzione, temo sia destinata a cedere a un lento declino e oblio.

Ma il mio desiderio di poterla riammirare è, naturalmente, sempre grande e tutti insieme, aspettando fiduciosi, auspichiamo una rapida “rinascita” di questa chiesa che fa parte, a pieno titolo, della nostra storia cittadina.

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1 thought on “Andar per chiese antiche/La chiesa di San Giuseppe in Castello_a cura di Anna Palmieri Lallai

  1. La chiesa è stata restaurata, verso la fine degli anni 80…peccato che solo dopo i restauri ci si sia resi conto della mancanza di qualche pezzo appartenente alla stessa chiesa. In Italia troppi misteri avvolgono i restauri!

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