Ottobre 7, 2024

Quelle magiche coincidenze_di Stefania Masala

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Mio nonno Giovanni Antioco era un uomo bellissimo, gentile, generoso, premuroso e dolcissimo. L’unica persona che quando ero bambina non mi diceva mai “sei troppo piccola, non puoi capire”, ma era sempre pronto a spiegarmi tutto con pazienza, con amore, dalle cose più semplici alle più complicate. Il vuoto che mi ha lasciato quando è morto è stato enorme: ogni tanto, ancora oggi, piango di nostalgia per lui. Andando via, però, mi ha fatto un regalo per la vita: ha costellato la mia esistenza di amici, tutti col nome che comincia per “G” come il suo, che mi hanno aiutata e mi aiutano ogni giorno a sopportare la sua assenza e mi guidano quando ne ho bisogno. Così, in modi del tutto inaspettati e mai casuali anche se lo sembravano, negli anni sono arrivati Giovanni, Giacomo, Giorgio e Giordano, le ”quattro G”, come li chiamo quando siamo insieme, e che sono ora parte integrante della mia famiglia, anzi, sono la famiglia che ho scelto.

Le “quattro G” non mancano mai agli “eventi” della mia vita: ci sono alle “prime” 321 a teatro, ai miei compleanni, quando ho bisogno di loro anche solo per parlare e “sentono” a pelle ogni cosa che mi accade. E non è poco visto che abitano tutti distante da me: uno a Sassari, uno a Mantova, uno in Toscana e solo uno a Roma, lo non credo di essere alla loro altezza: ciò che loro fanno per me è molto più di quello che io riesco a fare per loro, anche se li accompagno costantemente col pensiero. Possiamo non sentirci per settimane, ma poi basta un “Ciao” e la nostra vita in comune riprende da dove l’avevamo lasciata, come se non fosse passato neanche un minuto. E non crediate che siano sempre d’accordo con me: tutt’altro! Qualche volta mi acchiappano per un orecchio e mi rimettono “in carreggiata” se col caratteraccio che mi ritrovo esagero in una reazione o in un giudizio. Ma la cosa che più mi piace è che si conoscono fra loro e si frequentano a prescindere da me, dalla mia presenza, e si vogliono bene, tanto bene.

Di recente mi hanno fatto una sorpresa bellissima: il giorno in cui sono stata insignita del premio “L’Isola che c’è”, senza dirmi niente, si sono presentati alla cerimonia tutti e quattro, come i Moschettieri di Dumas, eleganti e lucenti come non mai. Il pubblico si è accorto solo di uno di loro, perché è un uomo importante che di cognome fa Albertazzi. È arrivato in ritardo, come sempre. Pensavo non ci sarebbe stato: era fuori Roma e secondo i miei calcoli non avrebbe mai fatto in tempo. E invece l’ho visto spuntare col suo tipico cappello e il bastone dal fondo della sala. Mi ha detto: “Dammi la mano” e mi ha accompagnata in prima fila. Il mio G. Quartetto al completo, emozionata al punto di non riuscire a parlare, ho ricevuto il riconoscimento che mi è caro più di altri perché mi ricorda la mia Isola amatissima e mi riporta alle radici dalle quale mai mi potrò staccare. È stata una delle serate più belle mia vita. Il premio l’ho avuto dalle mani di Giorgio Ariu: che sia un caso che anche il suo nome cominciano per “G”?

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