Dicembre 14, 2024

Andar per chiese antiche/Interno del Santuario di N.S. di Bonaria_a cura di Anna Palmieri Lallai

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Dopo aver ricordato gli avvenimenti storici che hanno riguardato il Santuario di Bonaria e averlo esaminato nel suo aspetto esteriore, oggi, finalmente, entriamo per rendere omaggio alla Madonna di N.S.di Bonaria, dal 1907 Patrona Massima della Sardegna, ma, da subito, proclamata dagli stessi naviganti come loro protettrice.

Il santuario, come evidenziato in precedenza, è stato vittima involontaria dei gusti del tempo, passando dal suo originario stile gotico-catalano al più ambizioso neo-gotico bicromo per arrivare all’attuale semplicità. Infatti, dopo un lungo e sapiente lavoro di completo restauro sotto la guida dell’architetto perugino Gina Baldracchini, il “nuovo” Santuario viene inaugurato il 7 dicembre 1960 dall’allora arcivescovo di città Paolo Botto e riconsegnato ai fedeli.

Anche il restauro interno, durato circa tre anni (1957-1960), si rese necessario non tanto per i diversi mali tipici del tempo, quanto per rimuovere tutte quelle strutture che,accumulatesi a più riprese nel tempo, avevano offuscato e quasi offeso la semplice bellezza originaria.


Interno barocco prima dell’ultimo restauro
Restauro in corso

Così, durante il radicale restauro, si dà nuovo lustro agli archi ogivali, alle volte a crociera con i  costoloni che s’incrociano al centro con una “gemma pendula” istoriata, si tolgono intonaci che nascondevano il fascino antico dei blocchi di pietra ben squadrati, e, soprattutto, si rimuovono decorazioni, affreschi e altri abbellimenti, aggiunti in particolare dopo il Concilio di Trento, che, in pratica, introducendo nelle chiese lo stile barocco, ritiene che la bellezza decorativa non è ostentazione di ricchezza, ma di bellezza divina, concetto talvolta male interpretato.

Col tempo, inoltre, le pareti e il pavimento del Santuario furono praticamente sommersi non solo dagli ex-voto, ma anche da tante lapidi sepolcrali, espressioni della volontà di avere l’ultima dimora all’interno del Santuario o del convento. Col restauro, togliendo il superfluo, tutto diventa più funzionale.

In tale occasione si elimina anche il pulpito barocco marmoreo a baldacchino con relativo “paracielo”, innalzato lungo la navata sinistra, tra la terza e la quarta cappella, rendendole comunicanti, e la lastra frontale, recuperata, è oggi esposta nell’andito degli ex-voto, adiacente alla grande sagrestia, dove la Madonna, eccezionalmente, è raffigurata con lo stemma dei Mercedari incisa nel petto.   

 In particolare viene sostituito l’altare maggiore marmoreo, che, sopraelevato di circa m 1,55 rispetto al piano dell’aula, diventa più sobrio, e vengono rimossi anche i quattro riquadri, in marmo e bronzo, riproducenti il miracoloso approdo, oggi esposti negli ambienti interni conventuali, mentre la “cassa”, prima collocata sulla destra dell’altare, attualmente, protetta da una teca in vetro, è visibile a tutti lungo il corridoio degli ex voto. Si ritorna, in pratica, alla sobrietà, all’essenziale, mettendo in evidenza ed esaltando lo splendore della “semplicità”, tipica dello stile gotico-catalano, che, come accennato, trova proprio nel Santuario il suo primo splendido esempio storico.

Entrando nel Santuario, superata la bussola lignea a motivi settecenteschi con inciso lo stemma mercedario, si apre davanti ai nostri occhi tutta la sacralità del tempio. E subito lo sguardo, quasi per istinto, va alla ricerca del simulacro della Madonna, che, da sempre benevola verso i fedeli che si rivolgono a Lei con sincera devozione, ci appare in tutta la sua bellezza.

Interno del Santuario

Ma, come accennato, con la realizzazione dell’attigua Basilica e del sagrato, anche il Santuario, suo malgrado, dovette affrontare delle modifiche nella parte interna anteriore, avanzando di diversi metri verso l’esterno, per adeguarsi allo stesso livello sia stradale che frontale della erigenda Basilica.

Oggi, entrando nel Santuario, la parte ampliata, realizzata nel ‘700, non sfugge ad un occhio attento, anche se, in modo sapiente, si è rimediato realizzando un’ampia tribuna con cantoria dove alloggia un piccolo organo a canne in cassa lignea e creando uno spazio dedicato ai fedeli con due file di banchi, oltre il quale, sulla destra, si apre l’accesso alla Basilica, che, a suo tempo, nel 1933, ha determinato il sacrificio di una cappella interna dedicata a San Serapio, primo martire mercedario e protettore del Convento.


Abside – Simulacro della Madonna
di N.S. di Bonaria

Il Santuario, rispecchiando un concetto tipicamente medioevale, è rivolto verso est, verso il sole che sorge. Ancora oggi si presenta a impianto planimetrico unico rettangolare, che, affiancato da brevi navatelle, è diviso in sei campate sottolineate da sette candidi archi traversi, che, innalzandosi e creando un giusto equilibrio, sembrano quasi alla ricerca del cielo.

L’impianto è dominato dall’abside, che, notevolmente sopraelevata, custodisce il simulacro della Madonna, perché, da subito, sia ben visibile ai fedeli. L’abside, ricavata alla base dell’antica torre di guardia aragonese o campanile, è sovrastata da una bella volta pentagonale a crociera con i caratteristici costoloni che si chiudono al centro con gemma pendula istoriata, ricordando nella sua realizzazione la volta della cappella “aragonese” in Cattedrale. Una grande nicchia centrale a baldacchino, Altare Privilegiatum Perpetuum, retto da quattro colonne in marmo scuro, custodisce il sacro simulacro della Madonna di Bonaria. La statua, alta m 1,56, ricavata da un unico tronco di carrubo, forse opera di un anonimo artista catalano del sec, XIV., risplende tra il mosaico dorato che fa da sfondo.

La Madonna regge il Bambino nudo con il braccio sinistro, con la mano destra tiene una candela accesa con alla base un vascello, in ricordo del felice approdo in terra sarda. Il presbiterio rettangolare (capilla mayor), ugualmente sopraelevato, tanto da accedervi tramite una breve scalinata centrale, è preceduto da un arco trionfale ogivale più stretto e più basso rispetto la navata, segno distintivo dello stile gotico, che, in città troviamo anche in altre chiese (S.Eulalia, S.Giacomo, Purissima, S.Restituta, S.Sepolcro).

A partire dal sec. XIV dal centro della volta del presbiterio, appesa ad una corda di canapa, pende e oscilla una navicella d’avorio, ex-voto di una pellegrina, rimasta anonima, che indicherebbe la direzione dei venti e alla quale si affidavano i marinai prima di prendere il largo.

Il presbiterio è sovrastato da un’ampia campata affrescata dalla perugina Gina Baldracchini con la raffigurazione dell’approdo della cassa (-sx-) e del Dogma dell’Immacolata (dx), mentre, in due grandi nicchie laterali dal 1955 sono custodite le candide statue della Madonna della Mercede, a destra, e di S. Pietro Nolasco, il fondatore dell’Ordine mercedario, a sinistra, realizzate in legno dalla ditta Insam & Prinoth di Ortisei.

Alla base del presbiterio due sepolture ricordano Domenico Azuni, a sx, noto per il suo codice marittimo, menzionato anche da una lapide marmorea murata sulla destra, entrando, e il giovane venerabile Antonino Pisano (1907-1927), sulla destra, mercedario, morto appena ventenne in odore di santità e in attesa del processo di canonizzazione.

Il Santuario, con le sue misure piuttosto contenute (Lm 32- Hm 11,50- Pm 9), è un piccolo scrigno di spiritualità, avvolto da una leggera penombra che ne aumenta il fascino antico.

L’impianto, come accennato, a navata unica con volta ogivale, si articola in complessive sette cappelle, tre lungo la navata destra e quattro lungo il lato opposto, tutte (o quasi) introdotte da un alto arco d’accesso ogivale leggermente strombato poggiante su fascio di colonnine con peducci istoriati e scudo centrale.

Ma, prima di esaminarle, diamo un rapido sguardo alle lapidi murate nel piccolo atrio d’ingresso, che, con i loro epitaffi in latino, menzionano sia eventi particolarmente importanti per la storia del Santuario che importanti personaggi che hanno omaggiato la Madonna.

Le quattro lapidi sulla destra ricordano: il XXV anniversario dell’incoronazione della Madonna, 1875- la proclamazione della Madonna Patrona Massima della Sardegna, 1907, con iscrizione dettata da Serafino Soro, prof. del Liceo Dettori- la traslazione di Domenico Azuni dalla distrutta chiesa di S.Francesco di Stampace al Santuario con iscrizione di Ottone Bacaredda,

infine, la visita al Santuario dei reali Umberto e Margherita di Savoia nel 17 aprile 1899. Sul lato opposto una lastra marmorea tiene vivo il ricordo del centenario della presentazione della venerabile Maria Cristina di Savoia al Santuario (14 novembre 1812-1912).

Navata destra con tre cappelle e ingresso alla Basilica

Lungo la navata destra, come già detto, si aprono solo tre cappelle, uniformi tra di loro, che, pur conservando come testimonianza storica solo l’ampiezza e l’arco ogivale d’ingresso come le corrispondenti cappelle laterali sinistre, sono decisamente poco profonde, perché sacrificate in occasione della costruzione successiva dell’attigua Basilica. Di conseguenza hanno perso i loro antichi arredi di prestigio e oggi sono dotate di semplici altari non coevi. Lungo la navata sono murate le stazioni della Via Crucis, realizzate da Claudio Pulli, con laboratorio a Selargius.

Pertanto superato l’ampio vestibolo e l’arco dell’ingresso alla Basilica, si apre la cappella della Madonna del Cardellino, così denominata dalla tela che sovrasta il semplice altare in pietra d’Assisi con tabernacolo. Il dipinto, forse tavola centrale di un retablo poi smembrato, viene attribuito a Michele Cavaro (1517-1584), di bottega stampacina, che, con palesi riferimenti all’arte di Raffaello, rappresenta, su sfondo oro, una dolcissima Madonna, che, seduta, tiene in braccio il suo Bambinello, mentre il piccolo S. Giovanni gli porge un cardellino.

Il delizioso quadretto è arricchito da due angeli musicanti che affiancano la Madonna, mentre altri, stando in volo, la incoronano. Questa cappella, a differenza delle altre, presenta un arco d’ingresso più alto.  

La terza cappella, adiacente al presbiterio, è dedicata alla Madonna del Miracolo, la cui statua, piccola e particolare, è inserita in una nicchia scavata nella parete. La scultura in legno, di autore anonimo, alta solo 80 centimetri, è sicuramente il simulacro più antico tra quelli custoditi nel Santuario, risalente al periodo della sua edificazione, quindi al sec. XIV quando Alfonso d’Aragona edificò sul colle una chiesetta intitolandola, appunto, alla SS.Trinità e alla Madonna.

Rappresenta la Madonna, in atteggiamento rigido, quasi bizantino, seduta su una sorta di panca con cuscino, con la veste che cade tra le ginocchia e la mano destra in atteggiamento benedicente. La Madonna abbraccia il suo Bambinello, anch’egli benedicente con la manina destra, mentre con la sinistra tiene stretto un uccellino. Come accennato nell’articolo precedente questa statua fu oggetto di un atto sacrilego da parte di un soldato che la colpì alla gola con la spada facendo sgorgare del sangue dalla ferita. Entrambe le statue sono incoronate.

Navata sinistra

Le quattro cappelle laterali sinistre, leggermente sopraelevate, precedute da un arco d’ingresso ogivale, volta a crociera e piccolo oculo vetrato con inciso un veliero nella parete di fondo, sono profonde tanto da ospitare dei piccoli altari marmorei.

La prima, l’unica col tetto ligneo a capriata e con arco semplice, è la cappella del Crocifisso e del Battistero. Il fonte battesimale, con coperchio in rame sovrastato dalla statuina di S.Giovanni Battista, è realizzato in marmo chiaro, opera dell’artista perugino Mario Schippa. Nella parete di fondo si ammira un altare tripartito, intarsiato e policromo, con tabernacolo, sovrastato da un grande dipinto, con cornice marmorea barocca, raffigurante la “Crocifissione di Cristo”, da molti critici d’arte attribuito a Orazio De Ferraris, sec. XVI.

La cappella successiva, la seconda, è dedicata a S.Raimondo Nonnato, cardinale mercedario, patrono delle ostetriche e protettore delle partorienti. La statua lignea policroma è inserita in una nicchia dorata con stemma dell’ordine che sovrasta un piccolo altare marmoreo, realizzato nel 1833 da Domenico Franco, marmista ben noto in città. Il religioso è raffigurato con un grande ostensorio nella mano destra e una palma cinta da tre corone nella mano sinistra.                

La terza cappella, dedicata in origine alla SS.Trinità, poi alla Vergine della Mercede e ancora ai Santi Cosma e Damiano, è oggi intitolata alla Beata Marianna di Gesù (1565-1624), mercedaria, proclamata beata da Pio VI nel 1784, raffigurata in un dipinto di Francesco Mossa, del 1686. Il dipinto, sovrastante un semplice altare marmoreo senza tabernacolo, è inserito in una artistica cornice lignea dorata che riporta lo stemma Mercedario al centro. La giovane monaca è riprodotta con l’abito religioso, stesa su una sorta di giaciglio, con il capo cinto da una corona di spine, le braccia incrociate, gli occhi rivolti al cielo, mentre su un tavolino è posizionato un teschio, uno strumento di penitenza e una clessidra.


La Pietà, gruppo scultoreo anonimo

 La quarta e ultima cappella, in passato dedicata a S.Antioco, il cui simulacro era particolarmente venerato soprattutto dai devoti campidanesi, oggi è destinata alla Pietà, il cui gruppo ligneo policromo di anonimo è carico di pathos.

Pochi gradini ci permettono di lasciare il Santuario e ci introducono, sulla destra, alla statua della Madonna di Bonaria, e, sulla sinistra, alla Sagrestia e al lungo corridoio degli ex-voto.

L’attuale sacrestia, risalente al 1666, si presenta rettangolare, voltata a botte ribassata, arricchita da due grandi lunotti nelle pareti brevi e da 15 quadri, con importante cornice lignea, tutti dovuti al pennello di Domenico Conti (io, Domenico Conti pinxit), forse sardo o spagnolo, vissuto nel sec. XVII.

I quadri, dalle tinte scure, realizzati tra il 1670 e il 1672, secondo uno stile strettamente personale, tendente al manierismo, rappresentano la “gloria” dell’Ordine Mercedario attraverso i suoi santi e la loro grande opera di redenzione.


Sacrestia- la lunetta dx e il momento magico del trasporto della cassa verso il santuario

Di particolare importanza, anche per la sua testimonianza storica, è la lunetta che con i suoi m 6,85 cm occupa tutta la parete destra comunicante con la Basilica. 

La tela, con la vistosa scritta Vino el ano 1370 (Giunse l’anno 1370) rappresenta la cassa col sacro simulacro trasportato a spalle dai padri mercedari dal mare fino alla chiesa. I religiosi, al centro, indossano l’abito tradizionale e uno il piviale, mentre autorità e popolo assistono all’avvenimento.

Lungo la parte bassa delle pareti corre un’artistica e sporgente balconata lignea, che ospita nella parte sovrastante tanti modellini di vascelli, di varie dimensioni e stili, ex-voto offerti dai naviganti alla Madonna.

Tutti questi vascelli, ben 150 compresi quelli esposti nel vicino Museo, degni della nostra più grande attenzione, sono stati restaurati a partire dal 1988 da Franco Orrù, cagliaritano d’adozione, modellista navale, che, come profondo segno di devozione verso la Madonna di Bonaria, spontaneamente mise la sua grande passione a disposizione dei PP.Mercedari, lavorando a lungo e sempre con lo stesso entusiasmo, regalandoci queste preziose testimonianze di fede.

Lasciata la grande sagrestia si apre davanti ai nostri occhi un lungo corridoio, delimitato dalla cappella della Purissima collocata nella parete di fondo (1771) e dal chiostro che poi ci condurrà al Museo, inaugurato nel luglio del 1968.

Nel corso dei secoli la devozione verso la Madonna di Bonaria è stata enorme e la fede popolare attribuiva alla intercessione della Madonna numerosi miracoli. Erano soprattutto i naviganti che ne invocavano la protezione contro i pericoli del mare e che, superato il pericolo, volevano testimoniare la grazia ricevuta offrendo alla Madonna degli ex voto.

Opere semplici, senza alcuna ostentazione di ricchezza o artistica, ma solo espressione della più autentica grande fede e devozione che da sempre i sardi e non solo hanno verso la Madonna. Un cuoricino d’argento, un quadretto, spesso accompagnato da una foto ormai sbiadita o da una breve poesia, espressione di un’arte “povera”, che diventano col tempo “preziosi”, perché, senza volerlo, assumono anche rilevanza sociale e testimonianza silenziosa dei costumi di un’epoca ormai tramontata.


Corridoio degli ex voto e cappella Purissima

Questo è, in sintesi, il Santuario della Madonna di Bonaria che, con i suoi oltre sei secoli di vita, è sempre presente nella nostra mente e nei nostri cuori con la sua straordinaria storia che sa solo di miracoloso e non potrebbe essere diversamente, indipendentemente dal credo di ognuno di noi.

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