Luglio 27, 2024

Andar per chiese antiche/”La Purissima” piccolo scrigno di fede e arte_a cura di Anna Palmieri Lallai

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La chiesa della Purissima, silenziosa e discreta, si trova in Castello, nella parte alta di via Alberto Lamarmora, già s’arruga deretta, scendendo, sulla destra, dopo aver lasciato Piazza Indipendenza, cuore del nobile quartiere castellano. E’ una delle otto chiese, tutte rigorosamente antiche e ricche di fascino, che caratterizzano l’antico nobile quartiere cittadino, in passato centro del potere politico, amministrativo e religioso della città. La Purissima è una chiesa esternamente modesta, senza alcuna esuberanza architettonica, anonima, quasi senza facciata, al pari della vicina chiesa di Santa Lucia, in via Pietro Martini, per cui talvolta passa inosservata al passante frettoloso e distratto. Il suo prospetto, il solo in parte visibile, di un color “giallo ocra”, con oculo centrale e terminale a capanna, corre senza soluzione di continuità con le case vicine, ed è inglobata negli ambienti dell’attiguo ex monastero claustrale francescano, oggi sede delle Ancelle della Sacra Famiglia, che se ne prendono cura.

Chiesa Purissima- prospetto- via Lamarmora

La chiesa, prezioso scrigno di fede e arte, ha alle spalle una storia piuttosto interessante. Il tempio, infatti, piccolo gioiello di arte gotico-catalana, fu edificato nel 1554, quando l’arcivescovo conventuale Domenico Pastorelli concesse al monastero delle Clarisse, fondato verso il 1540 dalla nobile Gerolama Rams Dessena, la chiesetta romanica di Santa Elisabetta d’Ungheria, protettrice del terzo ordine francescano. La nobildonna, abbandonati per sempre gli agi e il mondo a cui apparteneva, preferì abbracciare il silenzio della vita claustrale e, insieme ad altre cinque fanciulle di nobile origine, fondò il monastero, utilizzando le rendite delle loro doti per arricchire il patrimonio interno. Più tardi si modificò la preesistente chiesetta trasformandola da romanica in gotica, secondo i canoni del nuovo stile architettonico introdotto dagli Aragonesi durante il loro dominio in terra sarda. La chiesa, di cui s’ignora il progettista, era frequentata in particolare dai nobili del quartiere ed era molto cara alla Cattedrale e agli arcivescovi, tanto che lo stesso Pastorelli, alla sua morte, avvenuta nel 1547 (sepolto nella distrutta chiesa di S.Francesco di Stampace), lasciò alle religiose una buona rendita perché continuassero la loro attività. Risulta che anche la regina Maria Clotilde e il marito, Carlo Emanuele IV, 4° re di Sardegna, durante il loro soggiorno a Cagliari, abbiano visitato, tra il 1799 e il 1801, il monastero, che fu attivo fino al 1867, quando, in seguito alle leggi anti-ecclesiastiche del ministro piemontese Giuseppe Siccardi si sancì la soppressione degli Ordini religiosi e la successiva confisca dei loro beni. Le monache, di conseguenza, si dispersero lentamente, mentre la struttura conventuale cambiò destinazione, passando dal Demanio allo Stato quindi nella disponibilità del Comune che, nel 1874, la adibì anche a scuola pubblica, diventando a lungo sede dell’Istituto magistrale. La chiesa, invece, fu chiusa, cadendo inesorabilmente nell’oblio più totale.

Si ricorda che il nome Purissima o SS. Vergine di Maria è l’antico titolo con cui si identificava da sempre la Madonna, “Concepita senza peccato”, prima della proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione, voluto l’8 dicembre del 1854 da papa Pio IX con la Bolla Ineffabilis Deus, promulgato a S.Pietro “motu proprio”, senza quindi convocare il Concilio. Avvicinandosi, pertanto, il cinquantesimo anniversario della proclamazione del Dogma (1854-1904), come attestato anche da una lapide commemorativa collocata all’ingresso, sulla destra, la chiesa fu scelta per la solenne celebrazione dall’allora arcivescovo Pietro Balestra. In tale occasione il tempio religioso godette di un primo restauro, che comportò la realizzazione dell’attuale atrio d’ingresso, e nel 1933 fu affidato, dall’arcivescovo Mons. Ernesto Maria Piovella (1867-1949), alle Ancelle della Sacra Famiglia, che ancora la detengono. Ma, purtroppo, a questo importante momento di grande fede seguì un ulteriore lungo periodo di profondo abbandono e, solo dopo tanti anni e nuovi restauri, nel 2012 la chiesa è stata riaperta al culto e restituita all’attenzione dei cittadini, entrando a pieno titolo tra le chiese più importanti del patrimonio storico artistico-culturale della città.

Ingresso Purissima: atrio, portale e stemma Brondo

Preceduta da una piacevole cancellata in ferro battuto e da un piccolo atrio, voltato a botte, realizzato, come si è detto, durante i primi lavori di restauro, superati alcuni gradini, si apre il portale architravato, leggermente strombato, sovrastato da un arco a sesto acuto che racchiude una lunetta cieca. Al di sopra lo stemma araldico della Famiglia Brondo, benefattrice del tempio. La stessa finanziò, nel 1661, la riconversione della Basilica di Santa Croce da sinagoga a chiesa cattolica e l’altare della cripta della chiesa di S.Agostino “vecchio”, inserita nel palazzo Accardo, nel Largo Carlo Felice.

Il pesante portone, realizzato in assi di castagno, oggi restaurato, è quello originale tanto da avere ancora l’antica serratura a cricchetto.

L’ingresso della chiesa, con apertura lungo la navata destra, che corre parallela alla via Lamarmora, c’introduce in un ambiente in stile gotico-catalano di squisita e raffinata bellezza, che conserva ed esalta tutti gli elementi caratteristici di questo stile architettonico. Da subito si percepisce, nel silenzioso più profondo e nel profumo d’incenso che pervade l’ambiente, il grande amore che si respira in ogni angolo, dove dominano solo raccoglimento e fede autentica.

Purissima- Interno gotico con pulpito barocco e sei cappelle laterali

Lo spazio interno è diviso in due parti: il presbiterio, zona sacra per eccellenza, riservata al clero, e la navata o aula, destinata ai fedeli, che, simbolicamente, possono richiamare la natura divina e umana di Gesù. La navata, unica, rettangolare con pavimento a riquadri originali di marmo e ardesia, disposti verticalmente così da dare il senso di maggiore profondità, è divisa in due campate, che, separate da un grande arco ogivale, sono voltate a crociera con costoloni ben marcati e gemma pendula centrale. La navata si conclude col presbiterio (capilla mayor), a base quadrata, leggermente sopraelevato, preceduto da un arco trionfale ogivale ribassato, poco strombato e più stretto rispetto all’ampiezza dell’aula (tipicità gotica). Lo sovrasta una bellissima volta stellare che porta incisa nella gemma pendula centrale l’effigie della Purissima e, in quelle laterali, i quattro Evangelisti. La parete di fondo è completamente occupata dall’altare maggiore marmoreo, policromo, a tre mensole o a ventaglio, opera del marmoraro ticinese G.Battista Franco (1723-1830), con bottega a Stampace. Di gusto barocco, risalente al sec. XVIII, riporta nel paliotto il simbolo francescano, scolpito in rilievo, mentre l’antina del tabernacolo riproduce, a colori, l’effigie di Gesù Nazareno alla colonna.

Presbiterio- altare marmoreo barocco e retablo ligneo- 1744
Un grande cuore d’argento pende dalla volta

L’altare è sovrastato da un bellissimo retablo ligneo intagliato, dorato e policromato, di gusto barocco, risalente al sec. XVIII, nobile reminiscenza spagnola. Nella nicchia centrale, con volta cassettonata, affiancata da visi di angioletti e sovrastata da una simbolica corona, è custodito il simulacro dell’Assunta, “regina dei Cieli” che, restaurato di recente (2011), ha riacquistato l’antico splendore. L’opera, di piccole dimensioni, dovuta a un ignoto scultore napoletano del sec. XVII o XVIII, raffigura l’Immacolata secondo la consueta iconografia, con la veste bianca, simbolo di candore, e il manto azzurro mosso dal vento dello Spirito Santo. I lunghi capelli sono veri e i piedi nudi poggiano sulla mezza luna crescente mentre schiaccia la testa del serpente, simbolo del male. Negli scomparti laterali, scanditi da belle colonne tortili su cui si attorcigliano tralci vegetali, si aprono due nicchie più piccole lavorate a cassettoni, che custodiscono i simulacri (forse trespoli) di S.Francesco, a sinistra, e di Santa Chiara, a destra. Entrambi indossano abiti veri e sono sovrastati dal simbolo francescano col braccio umano che s’incrocia con quello sanguinante di Cristo. Dopo una elaborata trabeazione al centro si ammira il fastigio, che, tra volute, riporta l’Assunta in cielo, dipinto di Sebastiano Scaleta, pittore locale stampacino. Questo capolavoro, tra i più grandiosi tra quelli ancora esistenti a Cagliari (purtroppo eliminati col sopravento del più duraturo marmo) commissionato dalla badessa Giovanna Antonia Portugues e consacrato per la festa della Purissima l’8 dicembre 1744, è opera di Ignazio Cancedda e Eusebio Putzu, due artisti cagliaritani, stampacini con bottega nello stesso quartiere. Tutta la zona, al pari della navata, è piacevolmente illuminata da finestrine bifore con vetri policromi, mentre dall’arco ogivale pende, legato a una catena, un grande cuore d’argento, nel cui interno un cartiglio contiene i nomi dei numerosi benefattori del passato.  Essendo la chiesa preconciliare, all’occorrenza viene posizionato un piccolo altare perché il celebrante sia coram populum secondo le vigenti disposizioni del Concilio Vaticano II.

La navata centrale è affiancata da sei cappelle, tre per lato, tutte leggermente sopraelevate rispetto al piano dell’aula, a base rettangolare, introdotte da un arco ogivale, volta stellare, intonacate, piccolo altare marmoreo e oculo sovrastante. Le cappelle, che hanno lo stesso pavimento a losanghe dell’aula e del presbiterio, non sono uguali tra di loro perché le laterali destre sono condizionate dall’andamento curvilineo della confinante via Lamarmora.

Lungo la navata sinistra si aprono tre cappelle: la cappella della Madonna delle Grazie, di S.Antonio di Padova e della Madonna del Rosario.  

La prima cappella è dedicata alla “Madonna delle Grazie”, il cui simulacro, realizzato in carta pesta dal leccese Luigi Guacci alla fine dell’800, è inserito in una nicchia scavata nella parete di fondo, che sovrasta un altare marmoreo a più mensole dal paliotto tripartito. La Madonna delle Grazie è da sempre grandemente venerata in città, e, in particolare, in Castello, tanto da consacrarle una cappella in Cattedrale e altarini votivi tra i vicoli del quartiere. Oggi in questo spazio si ammirano un reliquiario, sec. XVIII, e una bella Dormitio Virginis, sec. XVIII. Nella parete di destra è esposto un dipinto su tavola raffigurante “S. Gerolamo e il leone”, opera di Lorenzo Cavaro, di scuola stampacina, sec.XVI. In basso, sulla destra, è raffigurato il leone, che, dopo essere stato liberato dal santo da una spina conficcata in una zampa, diventò il suo “amico” più fedele.

Dormitio Virginis-sec.XVIII
S. Gerolamo e il leone- Lorenzo Cavaro- sec.XVI

La seconda cappella, piuttosto sobria, è intitolata a “S.Antonio di Padova”, figura emblematica del mondo francescano, la cui statua in gesso è inserita nella nicchia centrale trilobata di un altare marmoreo, in stile neogotico, risalente forse al sec-XVIII. Ai lati della mensa dell’altare si ammirano i piccoli simulacri lignei policromi di S.Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, e, sulla destra, del giovane gesuita S.Luigi Gonzaga, protettore, in particolare, degli studenti di teologia.Segue la terza cappella è consacrata alla “Madonna del Rosario”, raffigurata in una tela posta sulla parete sinistra, mentre la statua della Purissima è inserita nella nicchia centrale dell’altare marmoreo di gusto barocco, a più mensole, arricchito da un elaborato fastigio con la rappresentazione dello Spirito Santo. Un antico simulacro ligneo della “Madonna in trono”, sec. XVI, con Gesù benedicente e col globo in mano, è inserito in una nicchia laterale destra. 

Cappella Madonna del Rosario
Altare barocco sec. XVIII
Navata destra in fase di restauro- anno 2011

Lungo la navata destra si aprono tre cappelle, dedicate a S.Giuseppe, al SS.Crocifisso e alla Sacra Famiglia.   Partendo dal presbiterio, si ammira la cappella di S.Giuseppe, caratterizzata da un ricco altare barocco, in marmi intarsiati policromi, ricco di fregi, statue e  sontuoso fastigio con la raffigurazione dello Spirito Santo. Nella nicchia centrale, affiancata da due angeli a figura intera, è inserita la statua in legno di S.Giuseppe col Bambino, manichino su trespolo, vestito con abiti in broccato, sec. XVII. Sulla sinistra si accede alla sagrestia, piccola e raccolta.

Cappella di S.Giuseppe  altare barocco

 La seconda cappella, modesta, con altare marmoreo senza tabernacolo, è dedicata al SS.Crocifisso, ligneo, sec. XVI, collocato nella parete di fondo, mentre nella parete sinistra è esposta una tela raffigurante il gesuita S.Luigi Gonzaga, di autore anonimo.

Cappella del SS.Crocifisso- sec.XVI

Tra la prima e la seconda cappella s’innalza un bel pulpito marmoreo, restaurato, a colonna, dovuto a G.Battista Spazzi, sec.XVIII.

Nella terza e ultima cappella, infine, consacrata alla “Sacra Famiglia”, si eleva un piccolo altare ligneo, sec. XIX. Sulla destra si ammira un bel trittico su tempera del pittore sardo Antioco Casula, del 1593, raffigurante, alla base, la Pietà affiancata dai Santi Pietro e Paolo, nello scomparto principale, nel pannello centrale, S. Antioco e, ai lati, San Cosimo e Damiano, mentre, in alto, è raffigurata l’Annunciazione con l’arcangelo Gabriele, a sinistra, e la Vergine nell’altro lato. In questa cappella fa bella mostra di sé un antico organo con cassa lignea decorata con fiori sgargianti, in stile rococò, opera firmata dal napoletano Carlo Mancini, del 1758. Un antico organo, molto simile, si trova nella collegiata di S.Giacomo, opera dello stesso Carlo Mancini. Sulla sinistra è murata una lapide marmorea funeraria in ricordo di una misteriosa Lucrezia Wirtz, deceduta nel 1721, sulla cui figura si è scatenata la fervente fantasia popolare, dicendo di tutto e di più. Quasi alla fine della navata, nella parte alta, si nota un matroneo, con balaustra, comunicante con il convento e utilizzato in passato dalle suore claustrali.

Antico organo in cassa lignea
Carlo Mancini 1758
Trittico Antioco Casula– 1593

Ma la piccola chiesa, ora sotto l’arcidiocesi di Cagliari e sotto la tutela del FEC (Fondo Edifici di Culto), ha ancora tanto da regalarci. Infatti nella “controfacciata” si ammira un bellissimo e significativo “Crocifisso doloroso”, opera di un anonimo scultore forse catalano del sec. XVI, che, con grande “pathos”, raffigura la drammaticità della morte umana di Gesù resa ancora più intensa dalle gocce di sangue prodotte dalle spine della corona.

Crocifisso doloroso- scultore catalano sec. XVI
S.Efisio “minaccioso”- statua lignea

La raffinata bellezza di questo piccolo gioiello castellano custodisce anche il “segreto” di un particolare episodio, quasi miracoloso, verificatosi nel ‘600 all’interno del convento verso le monache. Si racconta, infatti, che, durante dei lavori di restauro, notte tempo, un operaio abbia tentato di aprire una cassa dove le religiose avevano custodito i loro preziosi, ma S.Efisio se ne accorse e minacciò l’operaio infedele. D’allora la piccola statua del Santo, custodita in sacrestia, ha il braccio destro stranamente sollevato, assumendo l’atteggiamento tipico di chi …minaccia.

 In breve questo è quanto la chiesa della Purissima racchiude tra le sue sacre mura, dove si respira un’aria di profonda fede unita a squarci di arte, cultura e storia locale che tutti dovremo conoscere meglio, valorizzare e tramandare.

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