Ottobre 13, 2024

In libreria/Dopo il ’68, com’eravamo_di Salvatore Naitza

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L’idea di questo libro nasce dalla volontà di raccogliere e conservare alcune opere grafiche e manifesti prodotti nel corso di circa 15 anni dai movimenti politici, culturali e di base.

Si tratta di una grafica cosiddetta «povera» o alternativa, realizzata cioè in maniera e con mezzi via via meno improvvisati ed artigianali, per illustrare le lotte dei movimenti giovanili, femministi, politici e sociali, a partire dal ’69 con i primi fa ze bao del movimento studentesco.

Da un lato crediamo che questa possa essere una operazione culturale di recupero e conservazione della «memoria di sé» per chi ha vissuto più o meno attivamente quegli anni; dall’altro lato speriamo che possa essere utile a quelli che sono venuti «dopo» e conoscono per sentito dire la «mitica ventata di rinnovamento» del ’68 e la conoscono talvolta solo dagli esiti non tutti positivi riscontrabili oggi.

Ci coglie peraltro il timore di essere qui a commemorare noi stessi e ci spaventa la prospettiva di trovarci di fronte ai «fantasmi dei nostri ardori giovanili».

Già nel 1983 si era tenuta a Cagliari una mostra di parte di questo materiale, curata dal Coordinamento dei Comitati e Circoli di quartiere.

L’organizzazione della mostra aveva richiesto un paziente lavoro di ricerca per il recupero di quelli che possono essere considerati «documenti storici» di un periodo che fu denso di iniziative e di fermenti.

Il carattere stesso di questo tipo di documento, che lo fa di per sé estremamente ed irrimediabilmente deteriorabile, ha reso questo lavoro di ricerca a volte affannoso, sempre difficile.

La consapevolezza della labilità di tutta questa documentazione aveva fatto nascere in noi l’idea di raccoglierla in un ambito che fosse più duraturo del breve spazio di una mostra.

Manifesto realizzato in occasione del Convegno su Comitato di quartiere e decentramento comunale. Grafica di Roberto Badas 1976

E cosa meglio di un libro che, con le sue fotografie, protette dal cartone della copertina, ovattate da un po’ di pagine di testo (opinabile e criticabile fin che si vuole, ma ottimo come spessore protettivo), affida al ripiano di una libreria la conservazione di un pezzo della nostra vita!

Non una storia dei movimenti di base dal ’68 ad oggi, quindi, né una disquisizione dotta sul valore storico dei manifesti. Altri più esperti di noi potranno farlo.

Piuttosto una sorta di promemoria che valga a fissare più o meno fedelmente, almeno in senso temporale, le iniziative e le attività di quei gruppi in quei giorni, iniziative ed attività di cui si sta già perdendo memoria. Una sorta di block-notes, che speriamo possa essere di una qualche utilità a chi domani volesse intraprendere quel dotto lavoro di cui dicevamo sopra, e sarebbe per noi motivo di grande soddisfazione sapere che queste brevi, superficiali ed affrettate annotazioni avranno sortito l’effetto di stimolare studi approfonditi sia dal punto di vista storico che critico.

Ci avviamo quindi in questo viaggio a ritroso nel tempo, per tentare — con quelli che le idee, i momenti di lotta, gli entusiasmi e la rabbia di allora hanno espresso in immagini — di ricostruire ciò che ogni manifesto ha voluto dire per gli autori e soprattutto per i movimenti che attraverso di essi si esprimevano.

Come sfogliare un vecchio album di famiglia, dunque? Forse per qualcuno sarà solo questo, un nostalgico ricordo di anni passati, di ideali perduti, di compagni lasciati per strada.

Per altri ancora un’occasione di bilanci, di ripensamenti, forse di un po’ di autoironia.

O forse invece un’occasione per scoprire che ancora immagini o slogans sono capaci di farci sentire che gli ideali, le speranze, il desiderio di cambiare che rappresentano, fanno ancora parte di noi; che anzi sono ora patrimonio comune, anche di quelli che non partecipano alle manifestazioni culturali o alle marce per la pace.

Certamente in questi anni abbiamo dovuto fare i conti con le nostre contraddizioni, con un sistema che è più resistente al cambiamento di quanto pensassimo, e ridimensionare i nostri sogni. E così qualcuno si è ritirato nel privato. Ma è solo una rinuncia o un necessario momento di ripensamento e la ricerca di nuovi modi attraverso i quali esprimere la volontà di cambiare?

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