Dicembre 14, 2024

Ingurtosu pre-industriale, nella valle delle anime_di Tarcisio Agus

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Ingurtosu, toponimo che alcuni affermano derivare dal rapace Grifone, un avvoltoio che un tempo sicuramente abitava l’amena vallata mineraria, da noi chiamato S’intrûxiu o guntùrgiu, altri gli attribuiscono il significato di inghiottitoio (Ingurtidroxiu), con chiaro riferimento alle antiche cave minerarie che attaccate dall’alto creavano delle profonde voragini che “inghiottivano” i minatori.

Quest’ultima immagine potrebbe raccordarsi con l’ulteriore elemento che caratterizza la valle di Ingurtosu chiamata anche “valle de Is Animas” (valle delle anime), quasi una rappresentazione dantesca del luogo, dall’inferno dell’inghiottitoio, nel girone più profondo, per risalire al purgatorio nella valle delle anime, prima di raggiungere il paradiso.

Il termine anima, in generale in Sardegna, viene riferito anche alla persona, ce lo rivela l’espressione di paura usata dai nostri padri quando nell’oscurità o all’imbrunire, appena illuminate da steariche o dalle candele a carburo, sentivano dei rumori e per capire ponevano perentoria la domanda: sesi anima bia o anima motta? (sei persona viva o morta?), pertanto è plausibile che il toponimo “valle de Is Animas” facesse riferimento alla articolata vita nella vallata data da numerosi nuclei famigliari, minatori e tecnici che vi abitavano e che animavano i cantieri sparsi e gli abitati di Pitzinurri, Ingurtosu, Pozzo Gal, Pireddu, Naracauli e Scioppadroxiu.

L’area senza dubbio era frequentata sin dall’antichità, la ricerca archeologica è ancora embrionale ma già qualche elemento chiaro è emerso, come il ritrovamento di resti umani ascrivibili al mesolitico (7.000 a.C.) in regione Domu de S’orku, a circa 1 km dalla Valle delle anime.

Interessante risulta anche la presenza nuragica che insiste nella vasta area mineraria, con un villaggio presso il cantiere forestale costa verde e le due tombe di giganti presso la foce di rio Domu de S’orku, dove a mare è stato rinvenuto un carico nuragico composto da panelle di stagno, di piombo ed elementi di piombo decorati a spina di pesce, databili 1400 a.C.

Il ritrovamento dei metalli di 3600 anni fa, ci induce a pensare che i preziosi elementi non erano li per caso, anche se ancora non siamo in grado di affermare se quel prezioso materiale venisse dal più lungo filone minerario della Sardegna, compreso Ingurtosu e posizionato a monte dei primordiali siti di frequentazione umana. Mentre stando più vicino a noi potremmo senza dubbio prendere in esame le diverse ancore romane o il carico dei lingotti medioevali a schiena d’asino, quasi spiaggiati, recuperati a Piscinas a valle dei filoni minerari di Ingurtosu e Gennamari.

I romani forse avevano precorso i tempi e 2000 anni fa, con molta probabilità, imbarcavano i minerali nella spiaggia di Piscinas, anticiparono il sistema industriale rappresentato dal pontile nella medesima spiaggia, dove attraccavano le bilancelle carlofortine ottocentesche. Non è dato sapere la formazione del litorale al tempo dei romani, sicuramente la linea di terra non era come oggi la osserviamo ed il livello delle acque certamente più basso, certo è che in assenza di moli lo sbarco sui litorali sabbiosi, con il mare calmo, erano praticati.

Se i dati archeologici sono ancora labili certamente più precisi e dettagliati sono le indicazioni scritte sulla frequentazione dell’uomo alla ricerca di minerali nel territorio. Uno dei primi riferimenti lo traiamo dall’accordo medioevale di Comita III de Lacon-Serra, sovrano arborense, che nel 1131 chiese aiuto a Genova per la conquista del Logudoro in cambio della metà delle miniere d’argento, “medietatem montium in quibus invenitur vena argenti in toto regno meo”, i monti dalla vena d’argento non potevano che essere quelli dell’Arburese, unici nel Regno di Arborea. Non è dato sapere se in quello impegno vi fosse anche Ingurtosu, ma è presumibile.

Poi dobbiamo fare un salto di 400 anni prima di ritrovare riferimenti scritti sul territorio ed in particolare su Ingurtosu, anche se siamo certi l’attività estrattiva continuava non fosse altro perché nei diversi documenti molti impegni venivano pagati con monete d’argento, come quando il Giudice Barisone d’Arborea per avere il titolo di re di Sardegna da Federico Barbarossa nel 1164 dovette versare 4.000 marchi d’argento, oppure quando lo stesso Barisone per saldare i debiti con la Repubblica di Genova, dovette nel 1172 consegnare circa 672 kg di argento.

Con l’avvento dei pisani che si alternarono con i genovesi nel Giudicato d’Arborea non venne meno l’escavazione mineraria, ma dobbiamo attendere il 1600 – 1700 per avere ulteriori dettagli sulle attività estrattive, con particolare riferimento anche ad Ingurtosu.

Nel 1614 ritroviamo l’assegnazione di tutte le miniere comprese tra Oristano e Capo Teulada a Martino Esquirro di Cagliari, per 30 anni. Il 14 dicembre dello stesso anno il Procuratore Reale  con un pregone proibiva a chiunque di scavare miniere in Sardegna in quanto la concessione fu accordata a Giacomo Esquirro. Questa assegnazione il 2 maggio 1629 venne messa sotto controllo dal Procuratore Reale, assegnando al podestà della Baronia di San Gavino, le pesature della galena cavata.

Dopo la morte dello Esquirro avvenuta nel 1642, il re di Spagna Filippo IV consegnò le miniere sarde a Bernardino Tolo Pirella e Nicolò da Nurra per 40 anni, ma le produzioni furono del tutto marginali con quantità irrisorie.

Il 20 dicembre 1691 venne affidata una licenza di ricerca al sassarese di origini spagnole Don Antonio Michele Olives, evidentemente la sua azione si attestò nell’Arburese tanto che il 16 marzo del 1707 venne emanata un’ordinanza affinché non fossero messi ostacoli a Don Olivas nel cavare galena nelle miniere di Arbus.

Le attività minerarie nel periodo spagnolo non ebbero particolare rilevanza, perché in Sardegna  prevalse il regime feudale che traeva la sua maggiore rendita dal mondo agro pastorale.

L’inversione di tendenza arriva nel periodo sabaudo con il re  deciso a ridare valore alle produzioni minerarie. Una delle prime concessioni, a seguito della richiesta presentata alla casa Savoia in data 18 agosto 1720, fu assegnata a due sardi Nieddu e Durante, già titolari di una concessione spagnola del 29 Luglio 1704. La società Nieddu-Durante iniziò i lavori di coltivazione dalle nostre miniere e di quelle di Monteponi. Nel 1741 alla scadenza della concessione non vi fu rinnovo perché il governo sabaudo preferì assegnare il ricco patrimonio minerario ad una società di anglo-svedesi costituita dal commerciante inglese Charles Brander, Charles Mandel (svedese) e Chharles Höltzendorf (inglese). L’ accordo fu firmato a Cagliari il 30 luglio 1740.

Le prime notizie puntuali su Ingurtosu le ritroviamo con Critian Böse, sassone di Hildeshein esperto di miniere ed attività metallurgiche, nonché ispettore delle miniere del Regno, mentre era impegnato nella realizzazione della fonderia di Villacidro  riattivò, nel 1744, diverse miniere del sud Sardegna, compresa la miniera di Ingurtosu. Ulteriori notizie  le traiamo dalle relazioni del cav. Pietro Belly, un militare ed ingegnere, inviato in Sardegna nel 1759 per conto dello Stato, in qualità di sovrintendente per le miniere di Sardegna, chiamato poi a verificare lo stato della fonderia di Villacidro e controllare la gestione delle miniere di Montevecchio, allora affidata dall’Intendenza Generale al console svedese in Sardegna Carlo Mandel. Nelle diverse relazioni stilate nel periodo compreso tra 1760 e 1763, il Belly faceva chiari richiami alle miniere dell’Arburese ed Ingurtosu.

Delle relazione del Belly la più interessante per quanto ci riguarda è quella datata 28 novembre 1760 nella quale sottolineava la grande potenzialità del filone Montevecchio – Ingurtosu e rimproverava il Mandel di non aver capito la ricchezza a lui affidata, infatti segnalava i risultati deludenti ottenuti.

Altro punto debole dello sfruttamento, a suo dire, era legato all’assenza totale della ricerca che lui avrebbe voluto intraprendere ma non disponeva delle necessarie risorse. Così pure denunciava la scarsa conoscenza del territorio, l’arretratezza tecnologica e la povertà di manodopera specializzata. Nella relazione, per far fronte alle suddette carenze, proponeva di dare in concessione “ad economia” tutto il filone che andava da Montevecchio ad Ingurtosu, convinto che l’operazione avrebbe richiamato importanti investimenti, perché il filone avrebbe reso crescenti rendite.

Dopo un sopralluogo, il Belly si rese conto che  attaccare il filone per tutta la sua lunghezza sarebbe stata un’opera titanica che avrebbe richiesto l’impegno di almeno duemila uomini e la realizzazione di case e servizi. Per questa ragione al termine del sua visita suggerì di iniziare la coltivazione solo agli estremi del filone, ad oriente un tratto di 500 lachter (un lachter è pari a 1,886 metri) e ad occidente un tratto di 250 lachter, riconosciuto come  l’estremità occidentale del filone alla pari di quello orientale, che si presentava con interessanti prospettive di sfruttamento.

Nel 1760 ad Ingurtosu si contavano tre pozzi scavati ricolmi d’acqua  ed è proprio da li che il Belly riprese le coltivazioni, con un massiccio aumento degli scavi tendenti a ricavare importanti quantità di argento. Nell’interessante relazione si rileva che il 18 maggio del 1763 fu concessa la miniera S’Ingurtosu a Pietro Garau, ma non trovando sufficiente galena a copertura dei costi abbandonò la coltivazione.

Nella stessa concessione si trovano anche un’estensione di 60 tese (la tesa è una unità di misura: 1 tesa = 1,949 metri) assegnate a Battista Melis un “capogalanziere”, anche lui non ebbe fortuna perché la galena andava in profondità ed il sito era costantemente invaso dall’acqua che ne determinò l’abbandono. Una ulteriore concessione fu data ancora a Pietro Garau e stavolta riesce a sviluppare un buon lavoro ma con momenti favorevoli alla produzione altri meno per le criticità già rilevate. Una delle miniere affidate al Garau era denominata “Sungurtosa Manna”.

Le coltivazioni ad Ingurtosu cominciarono ad esser produttive grazie anche all’installazione di pompe, volute dal Belly ed affidate ad un caporale di artiglieria noto Enrico, che riuscirono a ridurre il problema delle acque. Le tre relazioni erano volte a mettere in rilievo le situazioni comuni un po a tutte le miniere sarde e nell’ultima, datata 20 ottobre 1770, il Belly avanza alcune considerazioni e suggerimenti su Ingurtosu, caldeggiando il proseguimento delle gallerie numero 7 e 3 anche se le spese fossero state maggiori del guadagno, ma a suo avviso suscettibili di importanti produzioni.

Inoltre propose di non  obbligare le diverse squadre di operai a lavorare a proprie spese, in quanto non ci sarebbe alcun vantaggio per lo stato, ma proponeva fossero le Casse Regie ad occuparsene direttamente. In quel periodo ad Ingurtosu le attività crescono con nuovi scavi e gallerie però i concessionari lamentavano la scarsa disponibilità di minatori, nonostante l’aumento della paga, attribuendo ai lavori agricoli la sottrazione di maestranze perché a loro dire con l’attività agricola si faceva meglio fronte al fabbisogno familiare senza la fatica del sottosuolo.

Per contrastare la mancanza di manodopera il Belly suggeriva di bandire nei comuni di Arbus e Guspini una raccolta di manodopera incentivandola con il riconoscimento della proprietà della galena estratta e di un bonifico in denaro per l’impegno di proprie squadre. Proposta non gradita alle Casse Regie chiamata ad accollarsi le spese di produzione.

Allora, per favorire il risparmio delle regie finanze, il Belly propose di impiegare i forzati nelle miniere con poche aperture, portando ad esempio la galleria numero 27 di Ingurtosu, in cui potevano operare in sicurezza dalle 30 alle 40 copie di forzati con un minimo controllo. Gli stessi forzati inoltre potevano essere impiegati  per arginare l’infiltrazione delle acque che rendevano problematici gli avanzamenti ed in particolare assegnandone una parte alla messa in movimento di ruote per sollevare con i soffietti l’acqua dai pozzi.

I suggerimenti del Belly tardarono ad essere posti in essere e solo il 4 ottobre del 1788 Vittorio Amedeo firmò il Regio Biglietto con il quale si approvava il piano Belly ma venne avviato con 400 forzati solo a Monteponi, mentre Ingurtosu subì un periodo di stasi interrotto solo sul finire del 1700, con un permesso di ricerca affidato ad Antioco Cannas il 27 agosto 1796, una seconda  concessione decennale fu data ad Antioco Azzeni Garau ed altrettanta a Pasquale Ciccu, argentiere di San Gavino, datata 10 Luglio 1799.

Nel periodo compreso fra il 1800 ed il 1850, poco prima dell’inizio dell’era industriale, sembrerebbe che ad Ingurtosu i lavori fatti fossero di poca rilevanza, con una nota curiosa del 1829 nella quale un fabbro di Arbus denunciava  la scoperta  della miniera di Ingurtosu.

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