Aprile 25, 2024

L’ultima opera di Giovanni Lilliu su Nuraghi e Giganti_di Antonello Angioni

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Conobbi il professor Giovanni Lilliu nell’ottobre del 1986, a Nuoro, in occasione del convegno organizzato dalla Commissione delle Comunità Europee e dalla Regione Sardegna in collaborazione col Bureau Européen pour les langues moins répandues. A lui era stato affidato il compito di svolgere la relazione più importante e più attesa, quella destinata a portare il dibattito sulle lingue minoritarie su un elevato livello scientifico. Il tema che doveva approfondire era incentrato su: Le lingue meno diffuse su di un solo territorio: particolarità e problemi dell’uso dei mezzi d’informazione. L’esempio della Sardegna.

Devo dire che di lui avevo sentito parlare sin da bambino, nella metà degli anni Sessanta, quando abitavo in Castello, nella via Lamarmora, a meno di cento metri dal palazzo dei marchesi Zapata: lo storico edificio posto alla confluenza con la via dei Genovesi, fatto costruire nel 1622 da Antonio Brondo, caratterizzato dall’imponente portale di gusto manierista. Qui il professore viveva con la sua famiglia da quando, nel 1950, si era sposato con la signora Miriam Fanari. 

In quella casa ero entrato più volte con un nipote del professore, Marco Tuveri, figlio di una sorella coniugata con un funzionario di Prefettura molto stimato in città. Marco, classe 1956, compagno di classe di mio fratello, lo chiamava affettuosamente “zio Nino” e ne parlava con grande ammirazione e affetto. Mi diceva che lo zio, molti anni prima, aveva scoperto a Barumini un nuraghe di notevole importanza. E io potevo iniziare viaggi fantastici nella preistoria sarda.

Dopo il trasferimento dal Castello, il rapporto si era attenuato ma, nel 1986, avevo già letto diversi scritti del professor Lilliu incentrati sulla Sardegna. Si trattava di saggi di taglio divulgativo che spaziavano dall’archeologia alla storia, dalla lingua alle politiche culturali. Insomma, posso dire che lo conoscevo bene anche se non l’avevo mai incontrato. Il convegno di Nuoro si articolava in diverse sessioni e prevedeva anche un simposio ad Alghero: in pratica erano tre giornate dense di relazioni e interventi da parte di prestigiosi studiosi.

Fatto sta che, durante uno degli spostamenti in corriera, il professore si sedette al mio fianco e iniziò un dialogo. Forse lui era attratto dalla mia giovane età: avevo appena 28 anni e sicuramente ero il più giovane partecipante al convegno. Indagò, in modo cordiale, sulle origini della mia famiglia (dava grande importanza ai territori come luogo di formazione delle persone), sull’attività che svolgevo nella vita di tutti i giorni e sui miei interessi. Il rapporto fu molto fluido. Ascoltavo le parole, consapevole di essere un privilegiato. Mi sembrava strano che una persona del suo livello, uno scienziato di fama internazionale, un accademico dei Lincei, potesse conversare con me e persino incuriosirsi del mio percorso professionale, allora agli inizi (ero procuratore legale da poco più di due anni). E la mia sorpresa aumentò quando mi disse che, avendo in programma l’acquisto di una casa-vacanze a Torre delle Stelle, voleva avere un consiglio da me. 

Rientrato in città, dopo qualche giorno, ricevetti una telefonata dal professore col quale concordai un appuntamento in studio. Quindi, curai la redazione di un contratto preliminare di compravendita cui seguì un successivo incontro. Nella circostanza ricevetti un regalo davvero prezioso: una copia del volume Ichnussa, contenente un importante contributo del professore su Bronzetti e statuaria nella civiltà nuragica, con la dedica: «Al dottore Antonello Angioni col ringraziamento di Giovanni Lilliu. Cagliari, 28 novembre 1986». Il libro venne da me letto con grande avidità (non trovo termine più appropriato).

Da allora iniziò un rapporto di frequentazione, anche se non intenso, nell’abitazione del professore, in via Copernico a Cagliari. Il professore era sempre disponibile. La cosa ormai non mi stupiva più perché avevo imparato a conoscerlo. Intorno al 2001-2002, il rapporto si fece più stretto perché ero entrato in amicizia con Francesco Sanna, un figlioccio del professore che, all’epoca, ricopriva la carica di assessore alla cultura nel Comune di Barumini, terra natale dei Lilliu. Francesco, tra l’altro, era il marito di Vanna Aru, che era stata un’insegnante di mia figlia Ambra. 

Insomma, attraverso diversi percorsi, ero diventato quasi uno di casa. Nel 2006, ricevetti in dono un’altra pubblicazione, questa volta in lingua sarda, Sentidu de libbertade, che raccoglieva una serie di saggi scritti dall’accademico incentrati su diverse tematiche aventi anche una valenza politica: si parlava non solo della civiltà dei Sardi in rapporto con le altre culture del Mediterraneo, ma anche di “identità”, di “autonomia” e di “costante resistenziale sarda”.

Intanto, nel settembre 2005, con l’editore Giorgio Ariu, era iniziata la pubblicazione della rivista “Via Mare”, un mensile al quale il professore contribuì con alcuni scritti in limba: Su tìaulu benit de su mari, Sa Sardigna e is arrexinis mediterraneas, Candu is sardus teniant relatzionis cun s’Europa, Is gherreris nuràgicus de Monti Prama e altri ancora. In uno degli incontri, che generalmente precedevano o seguivano la pubblicazione dell’articolo su “Via Mare”, mi parlò a lungo delle grandi statue rinvenute nel 1974 a Monti Prama, nelle campagne di Cabras, evidenziando l’importanza della scoperta, purtroppo non ancora compresa in modo adeguato.

Quindi mi espresse il desiderio che due suoi scritti, che avevano scandagliato la materia (uno apparso su “Studi Sardi” e l’altro sulla rivista dell’Accademia Nazionale dei Lincei), fossero raccolti e pubblicati in apposita opera che ne consentisse la valorizzazione anche tra i non addetti ai lavori. A tal fine, il 13 dicembre 2011, il professore diede il nulla osta all’Accademia dei Lincei per la ripubblicazione, da parte della Gia Editrice, dalla “memoria morale” del 1997. Successivamente anche il Rettore dell’Università di Cagliari diede l’assenso per ripubblicare il saggio apparso del 1978 su “Studi Sardi”. Il professore, pur essendo un luminare, era davvero convinto che la cultura, attraverso un linguaggio divulgativo, dovesse diventare un fatto di popolo e non di élite.

L’opportunità si presentò, a cinque anni dalla morte dello stesso, nel 2017, in occasione dei quarant’anni dalla costituzione del “Rotary Club Cagliari Nord” di cui ero presidente. Nella circostanza, il sodalizio decise di pubblicare un volume che voleva essere un omaggio al professor Lilliu per aver studiato e valorizzato la cultura e la civiltà dei Sardi. Mentre la vicenda dei “giganti” di Monti Prama affascinava e intrigava gli studiosi di archeologia e non solo, la pubblicazione del Rotary – dal titolo La Grande statuaria della Sardegna nuragica e i giganti di Monti Prama – ebbe il pregio di riportare alla luce i due importanti studi del professor Lilliu che, oltre ad essere stato il massimo esperto del periodo nuragico, insieme al professor Enrico Atzeni, era l’autore dell’importante scoperta. 

Infatti fu lui, nel 1974, ad esaminare per primo quei reperti che il sottosuolo di una bassa collina del Sinis, Monti Prama, in modo del tutto fortuito, aveva riportato alla luce. E fu lui a scrivere per primo, a livello scientifico, dei “giganti” di pietra. È nel volume XXIV, anno 1975-76, della rivista “Studi Sardi” (pubblicato nel 1977) che compare l’ampio saggio intitolato Dal «betilo» aniconico alla statuaria nuragica. Il professor Lilliu era tornato sull’argomento, dopo circa vent’anni, con un’ampia “memoria morale” pubblicata nell’ottobre 1997 negli “Atti” dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Anno CCCXCIV, Memorie, serie IX, volume IX, fascicolo 3. Il saggio, dal titolo La grande statuaria nella Sardegna nuragica, fa il punto sulla scoperta collocando i “giganti” di Monti Prama nell’ambito delle grandi opere in pietra prodotte dalle antiche civiltà del Mediterraneo. 

La riedizione dei due lavori – fondamentali punti di riferimento per quanti intendano approfondire su solide basi scientifiche la “scoperta” – è stata possibile grazie alla sensibilità manifestata dalla famiglia Lilliu (la signora Miriam e le figlie Caterina e Cecilia) e all’autorizzazione ottenuta dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dal Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari. Quegli scritti, ancora oggi, costituiscono testimonianza di viva attualità e alto valore culturale.

Il volume del Rotary Club era preceduto da una nota introduttiva della professoressa Giuseppa Tanda, studiosa di chiara fama, allieva del prof. Lilliu, che consente di meglio inquadrare nel presente il valore del ritrovamento archeologico. Alla stessa, da sempre impegnata per la valorizzazione della cultura sarda, va un particolare ringraziamento per avere, con generosità e competenza, scritto la nota introduttiva di questa importante operazione culturale che ora vede la luce in un’edizione destinata al grande pubblico.

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