Aprile 25, 2024

Su Zurfuru Industriale, la prima centrale idro -elettrica d’Italia_di Tarcisio Agus

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L’avvento sabaudo rilancia, a metà del 1800, il vasto patrimonio minerario della Sardegna, compresa la miniera di Su Zurfuru presso Fluminimaggiore coinvolta anch’essa nelle assegnazioni.  Buona parte delle società erano di nazionalità inglese o francese, da tempo impegnate in attività industriali e estrattive nei loro paesi, prima d’altri capirono la potenziale ricchezza dei nostri giacimenti.

Questa nostra di Su Zurfuru viveva ancora di esperienze di sfruttamento attraverso imprese locali,  sempre alla ricerca di nuovi filoni, prima che una società straniera vi ponesse mano.

Del resto il territorio poteva contare su una importante fonderia realizzata dal riminese Enrico Serpieri che certamente riprese la vecchia struttura eretta intorno al 1720 dalla società Nieddu – Durante, con i figli Cinabro e Attilio rimise in piedi l’impianto fusorio in loc. Men’é Ferru o Sa Funderia, entrando in funzione negli anni 1860-61. L’importante opificio era dotato di 4 forni fusori, alimentati da grossi mantici mossi dalle adiacenti acque del rio Mannu. L’impianto consentì di trattare tutte le scorie provenienti dalle miniere del fluminese con importanti risultati, nei primi due bienni dalla entrata in esercizio trattò 149.439 quintali di scorie e il piombo ottenuto veniva inviato per il tramite del suo socio Bouquet in Francia. In piena attività occupava una settantina di unità, comprese donne e ragazzi.

Abbiamo notizia di alcuni permessi di ricerca concessi proprio a un fluminese Salvatore Casu, nel 1870, alla ricerca di galena argentifera in località Giovanni Longu.

L’attenzione estera non tardò a arrivare anche a Su Zurfuru, il primo imprenditore interessato fu l’inglese Giorgio Henfrey, già presente, in particolare nell’iglesiente dove la Società Gonnesa Mining Ltd. da lui rappresentata otteneva e apriva, il 13 febbraio 1867, la miniera di San Giovanni.

Personaggio importante dell’imprenditoria  mineraria inglese, con la famiglia Brassey  deteneva una buona fetta  delle azioni appartenenti al gruppo  di società  presenti nell’isola.

In pratica era proprietario della The Victoria Mining Company Limited  e  della George Henfrey e C. Usine di Pertusola Societé en Accomandite che deteneva la fonderia a La Spezia, dove venivano trattati i minerali provenienti dalla Sardegna.

Nel 1880 l’imprenditore inglese riprese i lavori di ricerca di Giovanni Longu, mettendo in luce una mineralizzazione a solfuri misti. Sembrerebbe che l’intitolazione Su Zurfuru (Giovanni Longu), dato alla miniera, sia dovuto proprio alla importante presenza di minerali solfurei.

Seguendo antichi lavori venne tracciata la galleria Silvia che mise in luce una mineralizzazione a solfuri misti e un arricchimento di galena.

L’interesse per le ricchezze minerarie della zona, da parte dell’inglese Henfrey, veniva supportata dall’Avv. Antonio Melis Leo che nel 1877 andava alla ricerca dei permessi sul territorio.

Grazie alla raccolta delle autorizzazioni lo stesso Avv. Melis, in qualità rappresentante della The Victoria Mining Company, inoltrava domanda il 29 aprile 1888 per la concessione della miniera di Su Zurfuru, decretata poi con atto del 30 giugno. Si disponeva così la concessione alla The Victoria Mining Company, della miniera di piombo argentifero e zinco di Su Zurfuru, rappresentata in Italia dal Comm. Giorgio Henfrey.

Museo Su Zurfuru

L’ anno successivo, dopo aver preparato due nuove gallerie la Richard e la Pietro, la società inglese diede il via  alla realizzazione della laveria meccanica intitolata  Giovanni Longu.

La miniera sembrava piuttosto complessa tanto che alcune gallerie erano difficili da coltivare per la presenza di masse argillose e le stesse mineralizzazioni si presentavano composte, aspetto questo che creò anche i primi problemi in laveria nella separazione di alcuni dei minerali presenti.

L’impresa richiedeva ingenti capitali e evidentemente il Comm. Henfrey non disponeva di sufficienti capitali, non solo per la miniera di Su Zurfuru, tanto che nel 1880 metteva in liquidazione la fonderia Pertusola che divenne  Soc. Pertusola Ltd, sotto il controllo della famiglia Brassey. Così pure tutte le società che confluirono tre anni dopo nella “The United Mines Company Ltd” costituita a Londra nel 1875.

La nuova società andava acquistando diverse concessioni, compresi i diritti delle vicine miniere di Gutturu Pala, che dal 1873 era di proprietà della società The Gonnesa Mining Company Limited, e   di Terras Nieddas, detenuta sino al 1887 dalla Compagnia Generale delle Miniere, nel contempo interveniva sulla laveria per superare le difficoltà emerse e prepararla per il trattamento dei minerali delle miniere vicine, ormai sotto la stessa proprietà.

Della miniera di Su Zurfuru certamente l’aspetto più innovativo e di grande svolta fu la messa in moto della laveria attraverso l’energia elettrica, nel resto del mondo minerario la forza motrice  avveniva attraverso macchine a vapore.

Per far funzionare le macchine e gli impianti era necessario disporre di ingenti quantità di carbon fossile, legna o gasolio, in particolare legna e carbone che concorsero a depauperare buona parte dei nostri boschi solo per far funzionare le fonderie, vedasi la fonderia di Villacidro del 1743, ma non era da meno quella presente a Fluminimaggiore della società Nieddu – Durante e quella successiva del Serpieri, che restò in servizio sino al 1867 dopo la morte dei figli.

La laveria  Su Zurfuru (Giovanni Longu) venne dotata nel 1895 di forza motrice prodotta da tre turbine elettriche, così descriveva la struttura e il funzionamento  il Reale Ufficio delle Miniere al Genio Civile sulla prima “centrale elettrica” d’Italia, la seconda fu quella di Paderno (Monza) inaugurata nel settembre del 1898: “.. la forza motrice è data da tre turbine ad asse orizzontale, una della potenza di 10 cav. vap., la quale utilizza un salto d’acqua di circa 30 metri e due della forza di 35 cav. vap., che utilizzano un salto di circa 45 metri. La prima di dette turbine mette in moto un concasseur e una dinamo 65v 50A – 1200 giri compound, che fornisce la luce per la laveria e le case di amministrazione. Le altre due danno il moto ai concasseurs, ai broyeurs ed agli idrovagli della laveria.”

Se si pensa che l’altro impianto di produzione elettrica in Sardegna attraverso l’acqua arriverà con la diga del Tirso, entrata in funzione nel 1923, Su Zurfuru anticipava la nuova tecnologia di un trentennio.

L’importante infrastruttura  nasce su progetto dell’ingegnere tedesco  Carlo Marx, che già dirigeva la vicina miniera di Gutturu Pala, in contemporanea con la costruzione della laveria e del canale artificiale, necessario per condurre l’acqua verso la sala turbine. La sua importante opera fu ampiamente riconosciuta dalla comunità fluminese anche se le rimproverava i danni ambientali sul rio Mannu, lo chiamavano amichevolmente “S’ingegneri Marsa”, adattandolo al sardo, dove la x si pronunzia sc come Lixia (Liscia).

All’ing. Marx, profondo conoscitore del territorio, affiancato dall’ingegner Angelo Lambert, non era sfuggita la grande portata della fonte Pubusinu a monte della miniera, cosa assi rara in Sardegna sia per portata che per continuità, visto il quasi totale regime torrentizio dei nostri corsi d’acqua.

Così in una lettera dell’Ufficio delle miniere inviata al Corpo Reale del Genio Civile  di Cagliari del 1893, descrive in sintesi l’importante opera: “La derivazione d’acqua della sorgente Gutturu Pala (Pubusinu) utilizzata per la laveria della miniera di Su Zurfuru – Giovanni Longu … ha uno sviluppo di 5 kmetri, la sua portata media è di 200 litri al 1”, la sua pendenza media è dell’1 per mille, il suo costo fu di £.14-15 al metro”.

L’ardita opera idraulica venne affidata  all’impresario Giorgio Bernardino Arnodo proveniente da un paesino del Piemonte, Socinto di Valchiusella, ma adottato fluminese per aver sposato nel 1894 la giovane Grazia Concas, eresse il suo domicilio presso la casa della famiglia della moglie.

L’acqua della possente fonte, attraverso il rio Gutturu Pala, consentiva il funzionamento della   laveria costituita da un mulino a sfere della Simmons e da due batterie di celle di flottazione completamente in legno della Denver.

La nuova tecnologia da subito consentì importanti produzioni, ma fu anche l’inizio di nuovi problemi, così come avveniva anche in altri contesti, in particolare quando le attività minerarie si trovavano vicino ai centri abitati, la ricca attività rilasciava consistenti quantità di acque dei trattamenti che si scaricavano sul rio Mannu innescando l’ira degli abitanti. Fluminimaggiore già aveva ceduto importanti tratti del bosco per l’alimentazione delle precedenti fonderie, in più lamentava che la realizzazione del canale, di fatto, sottraeva importanti risorse idriche per l’agricoltura e l’allevamento, in particolare indispensabili per far fronte alle annate siccitose. Gli scarichi della laveria, inoltre, rendevano l’acqua del rio Mannu, che attraversa l’abitato, dannosa per gli orti e gli animali. A testimonianza della grave situazione sanitaria i fluminesi portavano l’esempio dei cavalli dei Regi Carabinieri, ammalatisi per essersi abbeverati nelle malsane acque del rio.

Nel momento di maggior sviluppo dell’attività estrattiva del fluminese moriva nella sua casa di Gutturu Pala lo stimato ingegnere dei minatori Carlo Marx, il 16 dicembre del 1900.

Sotto la sapiente e esperta guida dell’Ingegner Lambert, la miniera e il complesso di Su Zurfuru proseguival’attività, grazie anche alle sue nuove, importanti e uniche innovazioni assume un’importanza centrale nel territorio, tanto da essere corteggiata da diverse società minerarie, la spunterà la Pertusola Limited che nel 1905 rileverà la miniera. Società Italo – Inglese fondata a Londra nel 1899, di proprietà della famiglia Brassey, già titolare della vicina miniera di Ingurtosu e Gennamari, guidata dal presidente il visconte Thomas Alnutt Brassey. Con lo stesso spirito che mosse su Ingurtosu, fece costruire il piccolo villaggio, presso la laveria che rese ancora più produttiva e nell’abitato di Flumini eresse un piccolo  ospedale, dotato di 11 posti letto.

Nella primavera del 1906 su invito del sindaco Nicolò Lindiri, Lord Brassey fece visita al Consiglio Comunale, l’intento era quello di mostrale gratitudine per l’impegno assunto a Su Zurfuru e fu l’occasione, da tempo accarezzata, di chiederle la possibilità di utilizzare l’impianto di produzione elettrico della miniera per l’illuminazione pubblica e per quella privata, pensando anche a  un ente comunale di gestione. Nel congedarsi dall’incontro il Lord inglese dava disponibilità a esaminare la fattibilità di un impianto elettrico anche per Fluminimaggiore.

L’idea fu da tanti accarezzata e incoraggiata, ma le difficoltà tecniche, economiche e politiche incontrate, consentirono a Fluminimaggiore, dopo diversi anni, di avere l’illuminazione pubblica dal 13 giugno 1913, giorno della festa di Sant’Antonio, non dall’acqua di Pubusinu, ma da un impianto con generatore diesel.

Su Zurfuru oggi – foto di Gian Marco Leoni

La centralità della miniera di Su Zurfuru era troppo importante per rischiare di indebolirla con altra derivazione idrica, l’alimentazione della laveria divenuta anch’essa di riferimento territoriale, tanto che fu rafforzata da una rete viaria che consentiva una migliore fruizione dei cantieri e successivamente collegata da una ferrovia che permetteva di raggiungere più rapidamente e in sicurezza i cantieri più lontani di Gutturu Pala e Arenas. Pur a fronte di tutte le migliorie che preludevano un roseo futuro per l’area mineraria, Lord Brassey preferì dedicarsi in particolare a Ingurtosu, tanto che una parte dei grezzi di Su Zurfuru venivano trattati nella miniera di Naracauli. Sorsero però difficoltà nella gestione dei minerali per l’alta percentuale di silice che disturbava il processo  di flottazione  (modalità di separazione dei minerali)  per cui venne meno l’interesse del Brassey e la miniera entrò in crisi.

A questo aspetto si aggiunse anche la caduta dei prezzi dei minerali del 1909, che fece crollare le produzioni e diminuire il personale. Molti dei minatori cercarono occupazione nelle miniere vicine che ressero la crisi come Ingurtosu, Montevecchio o Monteponi, ma molti minatori  emigrarono in Tunisia, attratti dalle migliori condizioni economiche. Diverse società presenti nel territorio avevano investito nel paese africano, compreso il “padrone” di Montevecchio, Giovanni Antonio Sanna che nel 1870  si impegnava nella miniera  di  Gbel Rsass.

Nel 1911 la laveria Su Zurfuru riprese a operare grazie al rinvenimento di importanti masse calaminari ricche di smithsonite (carbonato di zinco), blenda e galena, tanto che l’anno successivo la laveria fu rimodernata e ampliata.

Pur in presenza della prima guerra mondiale le produzioni, anche se ridotte, proseguivano per la richiesta del piombo e Su Zurfuru fu una delle 34 miniere sarde che nel 1918 aumentarono la produzione.

Con la morte di Lord Brassey, la Pertusola, nel 1921,  chiudeva il cantiere di Su Zurfuru, lasciando attiva solo la laveria.

Fu anche l’anno di un nuovo passaggio di proprietà, già avvenuto nella miniera di Ingurtosu, la Pertusola cedeva con Ingurtosu anche la miniera di Su Zurfuru alla “Societé Minière et Metallurgique de Penarroya” di proprietà dei Rothschild, una famiglia di banchieri europea di origine ebraica. La nuova società, di cui faceva parte la Società Pertusola, sembrava ridare slancio alla miniera tanto che tra gli anni 1926 e 27 venne realizzata una nuova laveria. Nell’autunno del 1926, nella mattina del 23 novembre, la miniera dovette registrare un grave incidente mortale che coinvolse due operai, Raimondo Frau e Antioco Congia, travolti nella galleria Pietro da un bancone d’argilla e fango che si staccò dalla volta.

L’anno successivo, 1927, si pose rimedio al grave inquinamento del rio Mannu, con la realizzazione di una teleferica che permetteva di trasferire gli scarichi inquinanti della laveria in un bacino d’accumulo, in posizione di sicurezza.

Sembrava l’inizio di una nuova stagione ma la crisi mondiale del 1929, che coinvolse tutto il mondo industriale, fermò le attività anche di Su Zurfuru.

Iniziava un periodo di grosse difficoltà produttive con il calo occupazionale, ma nonostante le difficoltà si cercò di tenere efficienti le attrezzature tanto che, nel 1942, veniva installato un nuovo compressore da 125 HP. La grande guerra portò di fatto a una generale chiusura pressoché in tutti i cantieri minerari dell’isola. Per sopperire alla crisi si cominciò a coltivare la fluorite, considerata sino all’ora di scarso interesse, per toccare il massimo della produzione subito dopo il conflitto mondiale, nel 1949, a discapito della più nota galena che per il suo alto contenuto di bismuto venne di fatto accantonata.

Il minerale per le sue caratteristiche ha molteplici usi, è materia prima dal quale si ricava l’acido fluoridrico, utile nell’industria chimica e il fluoro. In siderurgia  veniva utilizzato come fondente e in particolare per la produzione dell’alluminio. In altri ambiti  era elemento importante, per esempio, nella produzione del cemento, porcellana e  vetro.

La ripresa della galena viene ascritta al 1950 quando si riuscì a risolvere il problema del bismuto nel trattamento che avveniva a Ingurtosu, poi  fusa nella moderna  fonderia di San Gavino.

Furono anni difficili in particolare per la produzione del piombo e dello zinco per i bassi tenori presenti che l’ingegner Stefani, responsabile della società, quantificava nella percentuale del 3%.

L’esperienza mineraria aveva implementato  negli anni la popolazione di Fluminimaggiore, passata da 1.869 abitanti nel 1861 a 2.797 nel 1881, a 3.990 nel 1901, a 4.229 nel 1911, a 3.821 nel 1931, a 3.820 nel 1951.

Il decennio 1950/60 fu un periodo di importanti produzioni ma evidentemente prevalse fra i tanti minerali presenti sul territorio la fluorite, tanto che la Pertusola chiese e ottenne nel 1955 la concessione per sfruttare un altro importante deposito di fluorite, in località Su Mannau.

Finito il decennio inizia il periodo del declino delle miniere in Sardegna e non fu da meno anche Su Zurfuru, allora sotto la guida dell’Ing. Paul Audibert quale direttore Generale della Società Pertusola, a metà anno del 1960 furono messi in discussione i problemi legati al cottimo e nel bacino di Ingurtosu, Arenas e Su Zurfuru iniziarono le agitazioni sindacali, con l’occupazione dei pozzi il 27 luglio. La società cercò di non esasperare gli animi, sapendo che nelle miniere si trovavano discrete quantità di esplosivo, per cui si ebbe un momento di calma ma le manifestazioni ripresero con una nuova occupazione dei pozzi il 24 agosto. In particolare si rivendicava la parità salariale all’interno della società in quanto fra i minatori sardi e quelli della Pertusola di Raibl, presso Tarvisio, gli stipendi mensili non erano paritetici, a Raibl  raggiungevano le 40.000 lire, mentre a Su Zurfuru erano di appena  20.000  lire.

Entrava nella mediazione anche la Regione Sardegna, ma il 14 settembre alla presenza dell’ingegnere Paul Audibert il tentativo fallì e il giorno dopo l’amministrazione regionale comunicava il non gradimento dell’ingegnere, ai sensi dell’art.15 della legge mineraria.

La crisi dell’industria mineraria si faceva sempre più acuta, dal 1969 i minerali sardi non erano più competitivi nei mercati mondiali e non favorivano la ripresa estrattiva, peraltro minata  dai continui avvenimenti rivendicativi e da un immancabile calo produttivo. La grave situazione spinse la Società Pertusola a abbandonare l’isola, compresa la miniera di Su Zurfuru, aspetto che interesserà tutti i bacini minerari sardi, costringendo il governo a intervenire attraverso le partecipazioni statali.  

La presenza dello Stato non risolverà il problema e le forti contestazioni del movimento sindacale spinsero la Regione Sardegna a farsene carico, pensando a una ristrutturazione generale che sviluppasse la verticalizzazione delle produzioni, così dopo una breve gestione A.M.M.I   (Associazione Mineraria Metallurgica Italiana), la miniera passava nelle mani della Società Piombo Zincifera Sarda, controllata dall’Ente Minerario Sardo, che la tenne in sospensione sino al 1982.

La grande ristrutturazione sulla spinta del Piano di Rinascita non ebbe seguito, la Sardegna non disponeva delle condizioni culturali ed economiche delle regioni del nord Italia, dove da tempo i programmi di verticalizzazione avevano preso piede con le prime, seconde e terze lavorazioni.

Si transitava così da un’ente all’altro passando nuovamente per le partecipazioni statali, con la SAMIM S.p.a e da questa nel 1987 alla SIM (Società Italiana Miniere), ormai con i cantieri in abbandono e una manciata di minatori che ne mantenevano la custodia, nel 1993 Su Zurfuru venivachiusa, ponendo così fine  all’importante e unica esperienza mineraria.

Testimonianze del glorioso passato della miniera si possono ancora vivere, grazie a un gruppo di ex minatori e appassionati, costituitesi  nell’ Associazione Su Zurfuru Mine che nel maggio 2016, in collaborazione con il comune di Fluminimaggiore, hanno salvato una importante parte di macchinari e ambienti, consentendo al visitatore e al curioso di ripercorrere la storia mineraria e degli uomini che la resero grande e unica.

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