Incontro con Enrico Pau: “amo i personaggi femminili, che troppo spesso il cinema italiano trascura, e che io ho voluto raccontare nelle mie opere”_di Simonetta Columbu
Enrico Pau nasce a Cagliari nel 1956, laureato in Lettere con una tesi dedicata all’opera degli
scenografi e registi Adolphe Appia e Edward Gordon Craig, realizza numerose opere cinematografiche: La Volpe e l’Ape, Storie di pugili, Jimmy della collina e L’Accabadora.
Il pubblico vuole vedere sempre gli stessi film: bisogna deluderlo, sennò non si farebbe nulla di interessante nell’arte, disse Woody Allen.
Ciao Enrico, che piacere poter fare due chiacchiere con te, sei d’accordo con questo pensiero di W. Allen?
Si, ‘’deludere’’ il pubblico è la cifra di tutta la storia dell’arte, i grandi artisti son quelli capaci di creare degli strappi, di portare avanti il linguaggio . Quindi si, son d’accordo. Tutto ciò che è interessante nell’arte è ciò che riesce a sfuggire all’ovvio, agli stereotipi, ad un ordine preciso. Le grandi innovazioni hanno sempre avuto qualcosa di questo elemento di sorpresa.
Quant’è importante stimolare lo spettatore con idee, formule e nuovi punti di vista?
Una domanda non facile, il sogno di tutti i registi è dimostrare allo spettatore qualcosa di inedito, ma va detto che i registi che riescono davvero a portare avanti il linguaggio e a modificarlo nella storia del cinema sono stati pochi. Non so bene se questo ruolo sia destinato a me e ai miei film, io ambiento i miei lavori nel mio territorio, nel luogo in cui son vissuto e l’idea è quella di raccontare storie che mi appartengono e che fanno parte di un orizzonte che sto cercando ancora di esplorare. Woody Allen, si, è uno di quei registi che ha portato grandi novità nel cinema comico.
Ricerca e libertà di osare…
Io ho sempre cercato di farlo provando ad immaginare storie scevre da luoghi comuni e stereotipi. Lavoro in Sardegna è già questo può configurarsi come una sfida in quanto questo territorio è paludoso e complesso, non facile. Son partito da film di ambientazione urbana perchè mi affascinavano le periferie e Sergio Atzeni ha concorso molto a farmi scoprire quanto gli orizzonti di questa città potessero essere esplorati.
Si può fare cinema in Sardegna?
Non solo si può, ma si deve fare! Potrei fare i nomi di tanti registi per dimostrare quanto sia ormai evidente come il cinema in Sardegna abbia raggiunto un’alta qualità nel racconto, una capacità nel guardare e saper declinare lo sguardo in tante forme diverse. Mi piacerebbe che questo messaggio arrivasse ai giovani. Il cinema in Sardegna si può fare.
Non ti occupi solo di cinema, ma sappiamo che hai anche altre passioni, la letteratura per esempio.
Sono molto influenzato dalla letteratura, ho anche insegnato nelle scuole giovanili. E la mia attenzione per il mondo dei ragazzi è sicuramente influenzato dal fatto che son stato molto a contatto con loro durante l’insegnamento. Ma non meno importante della letteratura è stato per me il teatro, la prima fase della mia vita è stata infatti influenzata da un immersione quasi totale in questo con il quale, nel tempo, ho mantenuto un forte legame scrivendo come cronista di spettacoli.
Qual è il rapporto tra cinema e poesia?
C’è un legame molto profondo tra loro. La poesia con poche righe è capace di raccontarci universi immensi. Lo stesso fa il cinema. Entrambe le arti hanno la capacità di usare il loro linguaggio per esplorare attimi che possono essere lunghissimi, profondi e durare per sempre. Credo che sia il regista che il poeta siano esseri solitari, fra i più solitari. Hanno la medesima capacità nel guardare verso luoghi e realtà, son capaci di scavare nell’animo umano senza dovere spiegare tutto come invece accade talvolta nella letteratura. Nulla dev’essere spiegato, tutto è già presente.
Qual è ,tra i tuoi lavori, quello a cui sei più legato, e perché?
Forse il mio primo lavoro, La volpe e L’ape che ho fatto quando non avevo mai preso in mano una cinepresa. Quel piccolo film mi ha dato molto per tanti motivi, anche il solo fatto di partecipare a tanti festival ha concorso a darmi la fiducia per perseguire questa strada.
Tra le tue opere, ho amato particolarmente PESI LEGGERI. Com’era nata l’idea’? E cosa racconta questo film?
Ho sempre avuto una profonda curiosità verso le periferie, verso gli ambienti popolari e verso un’umanità dolente. Ho però voluto raccontare questi universi con toni avvolte leggeri, come suggerisce il titolo PESI LEGGERI. È così che ci hanno insegnato i grandi del cinema: anche nel dramma si deve poter sorridere. E in questo ossimoro c’è come sfondo la città, una città in cambiamento piena di orizzonti e mondi inquieti.
Come nasce in te l’idea di un film?
Non credo molto nell’ispirazione, credo piuttosto che ognuno di noi abbia un suo mondo, un suo universo, un qualcosa che ciclicamente ‘’torna sempre ’’ e che alla fine si ha la necessità di raccontare. Si, si ritorna sempre sulla stessa pagina. Se mi volto indietro le mie opere hanno sempre qualcosa in comune. Per esempio amo i personaggi femminili, che troppo spesso il cinema italiano trascura, e che io ho voluto raccontare nelle mie opere. In Gimmy della Collina una delle ragazza che lavora nella comunità è un personaggio molto importante, nell’Accabbadora la protagonista sembra una forte ma è in realtà è fragile. Amo inoltre la favola urbana capace di guardare alle periferie. Per me luoghi magici. I miei lavori raccontano sempre un’umanità colta in um momento di particolare difficoltà.. Viviamo in un mondo non semplice perché fingere che sia diverso? Ed è la poesia che sta dentro quei luoghi e quegli essere umani che ci salva e ci protegge.
Cos’è per te, arte?
Cè un rapporto stretto per me tra cinema e disegno. Tutti i film che faccio li disegno molto, sia prima che dopo averli fatti. Son laureato in storia dell’arte e ho un legame profondo con quest’ultima. Pier Paolo Pasolini diceva di essere giunto al cinema attraverso la pittura. Penso ad un film e cerco di tradurlo in immagini. Disegno e traduco il segno in un film. I miei disegni son sempre popolati da persone che hanno sullo sfondo palazzi molto alti che mi ricordano Sant’Elia, navi che passano, pugili, ciminiere che sputano fumo. È una passione viscerale che quasi non controllo, è come se qualcuno dentro di me opera e disegna.
Cosa consiglieresti ad un giovane regista?
Di smettere! (Ride) Consiglierei di studiare, di guardare i pittori, guardare come dipingevano. Direi di provare a raccontare una parte di se stessi, anche quando racconti qualcosa in cui pensi di non esserci, tu ci sei sempre, li…nello sfondo. E’ necessario allenare la capacità di vedere se stessi in una storia, che non è una forma di auto referenzalità ma è una voce narrante di sè. Il racconto di ciò che hai davanti e dentro. Bisogna saper essere filosofi, pittori e registi. Studiate arte, studiate poesia!
Grazie Enrico per le tue meravigliose riflessioni. Non vediamo l’ora di vedere il tuo prossimo lavoro!