Sos Enattos, la miniera del silenzio assoluto_di Tarcisio Agus
La miniera di Sos Enattos a Lula oggi è al centro di importanti attenzioni scientifiche. Entro le viscere più profonde vi regna il “silenzio assoluto”. Particolare che candida il sito nuorese a nuova destinazione d’uso per lo studio delle onde gravitazionali, che ci permettono di conoscere meglio l’universo e la sua origine.
L’importante sito assurto all’attenzione nazionale ed internazionale, ha origine in età Paleozoica (era Primaria tra 544 e 248 Milioni di anni fa) e le sue mineralizzazioni, come buona parte di quelle dell’isola, sono oggetto di formazione sin dal Cambriano inferiore (542 – 509 Ma).
I periodi di formazione delle masse mineralizzate, hanno avuto variazioni durante le diverse ere. I minerali principali della geologica di Sos Enattos sono la galena e la blenda. Dalla galena si ottengono principalmente piombo e argento, mentre dalla blenda lo zinco. La galena è senza dubbio il primo minerale che l’uomo anche nel territorio di Lula abbia scoperto e utilizzato, non è da escludersi lo sia stato sin dal Neolitico, visto che la storiografia archeologica ci dà la pratica metallifera in Sardegna tra il IV e III millennio a.C. Sono diversi i numerosi ritrovamenti nel periodo così detto Eneolitico o Calcolitico, in particolare nella fase Ozieri e Sub-Ozieri (3200-2200 a.C), dove l’argento compare in contesti funerari ed abitazioni. La presenza Neolitica è attestata nel territorio lulese con diverse Domus de Janas, come quella di Sa Conchedda ‘e Su Priteru, pare tracce delle antiche sepolture siano anche prossime a Sos Enattos. Altrettanto può essere ipotizzato in fase nuragica, vista la presenza del villaggio di Punta Casteddu o il nuraghe quadrilobato in località Colovros, peraltro non molto distante dal più grande villaggio nuragico della Sardegna di Serra Orrios, che ha restituito numerosi reperti in bronzo (Pugnali, asce, spilloni, braccialetti e orecchini). Anche il territorio di Lula ha restituito un importantissimo reperto bronzeo, una navicella nuragica di 19 cm, riconducibile all’ 800-701 a. C. Pare ritrovata presso il nuraghe Colovros, a significare che nel territorio era nota anche la presenza del rame, con il quale si producevano i manufatti in bronzo.
Le miniere di Guzzurra, S’Arghentaria e Sos Enattos formano il più importante bacino minerario metallifero della Baronia, fra i diversi minerali presenti non mancava certo il rame, che poteva essere recuperato dalle Calcopiriti (minerale di rame, ferro e zolfo CuFeS2).
In fase romana la galena era il minerale più ricercato per la produzione di piombo e argento. Il primo metallo veniva ampiamente utilizzato nella marineria, per la produzione delle ancore ed i rivestimenti degli scafi delle navi protetti da fogli di piombo, ma non manca l’utilizzo nell’edilizia come elementi di copertura, perni di colonne e tubazioni. Il secondo interesse, ma direi il principale per Roma, era legato all’argento, che assurse a base dell’economia romana nel 211 a.C., con il conio della prima moneta del pregiato metallo, il Denaro.
Diversi siti come Punta Casteddu hanno restituito tracce di continuità nella frequentazione dei luoghi, proseguita in fase romana. Alcuni studiosi ipotizzano Lula fosse la Metalla del nord est della Sardegna, legata al porto romano di Portus Luguidonis, presso il borgo di Santa Lucia a Siniscola, che ritroviamo nell’Itinerarium Antonini del III sec. d.C.
Se la fase romana può essere stata importante per lo sfruttamento minerario del territorio ed in particolare di Sos Enattos, nelle fasi successive, come in tutta l’isola, lontana da Costantinopoli e soggetta agli attacchi barbareschi, le attività estrattive subirono un deciso blocco.
L’importante miniera della Baronia sembrerebbe riprendere interesse e sfruttamento nel XI secolo d.C, ad opera di una colonia di ebrei capeggiata da un certo Nabat, come ci ricorda il La Marmora nel suo Itinerario dell’isola di Sardegna. Attività che probabilmente si mantenne nella fase medioevale con il Regno di Gallura e la presenza pisana, in particolare con i Gherardesca ed i Visconti, illustri e potenti famiglie toscane, che tanto interesse ebbero nella spartizione delle miniere argentifere dell’iglesiente nel 1258. Un altro periodo in cui Sos Enattos rimase inattiva o poco produttiva è senza dubbio nella fase aragonese, quando Pietro I re di Sardegna nel 1362 infeudò Lula ed il suo territorio a Bartolo Catone. I feudatari in generale, e coloro che si alternarono nella gestione del feudo, non si occuparono delle miniere perché di proprietà regia, le loro rendite erano date dalle tasse che gravavano sulle comunità e sul mondo agro pastorale.
In questo periodo gli storici ritengano di scarso interesse per i regnanti spagnoli le miniere sarde, nonostante le diverse concessioni minerarie date, presumibilmente come “Beneficio” a personaggi del tempo e che rileviamo da Quintino Sella (Ex Ministro delle finanze del Regno d’Italia), attraverso l’opera del 1871: “Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna”.
Concessioni non sempre specificate che interessavano l’intera isola. La prima fu data nel 1472 ai genovesi Sireto della Maddalena e Michele Sclavo, pare si concentrarono ad Iglesias; nel 1479 a Giaco Carga, valenziano; nel 1514 a Carlo Martin, del Delfinato (antica provincia francese); nel 1557 al fiorentino Francesco Tusci. Nel 1603 il giudice della reale udienza Pietro Giovanni Soler, già reggente della Real Cancelleria (istituzione di giustizia e governo del Regno di Castiglia), otteneva la concessione per le miniere di Iglesias e della Barbagia. Nel 1642, il re di Spagna Filippo IV concesse le miniere sarde a Bernardino Tolo Pirella (Gentiluomo e militare di Oliena, in quel periodo sergente maggiore del Sarrabus) e Nicolò da Nurra per 40 anni. Il sodalizio si sciolse dopo pochi anni per la morte del Tolo Pirella. Tutti personaggi che non lasciarono tracce delle loro opere minerarie, presumibilmente perché sprovvisti di capitali per riuscire a sfruttare i vasti giacimenti dell’isola, concentrandosi in pochi siti, così come non abbiamo elementi per affermare che il reggente Soler concessionario della Barbagia abbia operato a Sos Enattos.
L’avvento del Regno Sabaudo nel 1770 sembra rilanciare l’attività estrattiva in tutta l’isola, e Casa Savoia decise di affidare le miniere sarde, già nel 1721 Pietro Nieddu e Giovanni Stefano Durante (membro della borghesia cagliaritana dedito al commercio) per 20 anni. Dalla storiografia sembrerebbe che Sos Enattos restasse ai margini delle concessioni che si concentrarono in modo particolare nell’iglesiente.
Nel 1759 la miniera fu oggetto della visita del sottotenente ingegnere cav. Pietro Belly, affidatario delle miniere dell’isola.
La ripresa dell’importante miniera della Baronia avvenne quando entrò a far parte del Demanio Regio, con il riscatto feudale del 1838.
La prima notizia in questo secolo, diciamo curiosa, perché nel 1864 i fratelli Paganelli, G.Guerrieri e N.Accade dichiarano la scoperta del giacimento. Evidentemente dopo la visita del Belly non si ebbero per la miniera barbaricina nuove concessioni o frequentazioni. I cento anni trascorsi dalla visita del sottotenente regio, permisero alla rigogliosa natura di riprendersi i luoghi, mascherando le antiche coltivazioni.
In virtù della riscoperta della miniera, quattro anni dopo, fu data loro la concessione di sfruttamento costituitisi in Società Paganelli, in particolare per la galena argentifera. Dopo alcuni anni di sfruttamento pare che il pregiato minerale venisse meno, mentre si scopriva sempre più un importante presenza di blenda, che in Sardegna era ancora poco sfruttata, ma ampiamente richiesta a livello europeo.
La riduzione della galena argentifera portò presumibilmente nel 1878 la Società Paganelli a lasciare la concessione mineraria in favore della Signora Raimonda Angioni vedova Sancio, che non disponendo evidentemente di sufficienti risorse finanziare per lo sfruttamento, la cedette all’Ingegner minerario di origine ebraica Emilio Jacob, in società con l’Arch. E. Bernard.
La miniera, anche se passata di mano sembrerebbe di fatto poco sfruttata, lo si potrebbe dedurre dalla visita a Lula del funzionario regio Carlo Corbetta, che nella sua opera Sardegna e Corsica del 1877, ne fa menzione nel capitolo ottavo.
Stranamente pur elencando le miniere di Sos Enattos, Guzzurra e l’Argentaria, tratta e narra solo Guzzurra, con i suoi mille operai, dotata di ospedale, farmacia e medico, presumibilmente ancora ricca di galena argentifera, a differenza di Sos Enattos ove stava emergendo più la blenda che la galena.
Inoltre sembrerebbe che l’attività estrattiva a Sos Enattos, in quel periodo, oltre che attraversare serie difficoltà produttive, fu oggetto di forti contrasti fra gli operai e la dirigenza retta dalla ditta Jacob e Bernard, visto che il 16 ottobre 1896 si ricordano le prime proteste operaie contro la società per la sua arrogante gestione, che scaturì nella proclamazione del primo sciopero minerario in Italia.
A rilanciare Sos Enattos, sarà la blenda, il minerale ormai prevalente, attraverso il passaggio nel 1905 alla società franco-belga Anonime Des Mines De Malfidano, da tempo impegnata nello sfruttamento delle calamine (rocce di silicato e carbonato di zinco) a Buggerru, che assumerà negli anni del 1930 la denominazione Pertusola.
Vi fu un momento di stasi durante il conflitto mondiale (1940 -1945) con la miniera che perse ogni attenzione e venne chiusa.
La ripresa di interesse e produzione si ebbe sotto la gestione RI.MI.SA S.p.a (Ricerche Minerarie Sarde), società finanziata dalla Montevecchio, che rilevò i cantieri dalla società franco-belga nel 1951, subito dopo tutte le quote della RI.Mi.SA vennero assorbite dalla Monteponi-Montevecchio S.p.a. La nuova gestione accrebbe ulteriormente le produzioni a seguito di importanti interventi di ammodernamento, che resero il cantiere più funzionale, come l’invaso intitolato al direttore minerario di Montevecchio l’ing. Filippo Minghetti, con una capacità di 100 mila mc; la laveria Fioretti, con una potenza di trattamento grezzi di 200-500 tonnellate al giorno; la cabina elettrica, servizi per l’amministrazione e gli operai. Per una ventina d’anni tutto sembrava andare per il meglio, con importanti produzioni sino al 1971, anno di costruzione del Pozzo Rolandi, tutt’ora attivo, ma in quell’anno la Soc. Monteponi-Montevecchio S.p.a rinunciava a tutte le concessioni minerarie per cui la Regione Sardegna se ne fece carico, affidando il giacimento all’ EMSA (Ente Minerario Sardo). Con la società sarda si cercano ulteriori innovazioni e la coltivazione viene affrontata attraverso la costruzione di rampe di accesso che consentirono ai mezzi di recarsi sui fronti di coltivazione, caricare il minerale e portarlo all’esterno con l’abbandono di tutto il sistema dei vagoni, più complesso e dispendioso. Questa importante innovazione accresse la produttività permettendo all’EMSA di fare nuovi investimenti, ma, in previsione della cessazione delle attività estrattive che in quegli anni vedeva già chiuse molte miniere del Sulcis Iglesiente, pensò di valorizzare i graniti presenti, e nel 1989 avviò presso la miniera uno stabilimento per la produzione di mattonelle della pregiata e abbondate roccia.
Ormai le attività estrattive non solo a Lula ma in tutto il bacino minerario sardo andava affievolendosi, l’apertura dei mercati mondiali aveva dato il colpo di grazia anche ai nostri più importanti giacimenti compreso Sos Enattos, tanto che nel 1997 vengono fermati gli impianti e la coltivazione. Dopo una lunga serie di scioperi le maestranze residue vennero assorbite dalla Soc. IGEA S.p.a (Interventi Geo Ambientali, controllata dalla Regione Sardegna, che sostituì l’EMSA).
Nel 2001 Sos Enattos, con il resto delle miniere sarde, entra a far parte del Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna. La gestione dell’Igea S.p.a consente alla miniera d’esser manutentata ed aperta alle visite guidate. Questa attenzione, oltre che preservarne l’integrità, portò il mondo scientifico a guardare a Sos Enattos come interessante sito per sperimentazioni scientifiche. Il primo progetto viene elaborato nel 2017 per la realizzazione del laboratorio sotterraneo a basso rumore sismico, con l’istallazione di alcuni rivelatori di onde gravitazionali SET (Sardinian Einstein Telescope project). Il 20 gennaio 2021 viene installata la rete dei sensori sismici che permettono oggi al sito di Sos Enattos ed all’Italia di candidarsi ad ospitare l’Eistein Telescope (ET). In questi ultimi due anni si è potuto meglio quantificare l’eccezionale “silenzio cosmico” dell’area, elemento cardine di valutazione per convincere l’Europa a scegliere Sos Enattos, rispetto al secondo sito candidato nella regione del Limburgo, al confine tra Belgio, Germania e Olanda.
Tutti oggi auspichiamo che la nostra miniera, testimone di sofferenze umane e di pesanti inquinamenti, sia convertita in moderno “giacimento”, rispettoso degli uomini e dell’ambiente, ove si “coltivino” ricerche e saperi per meglio conoscere l’universo e porli al servizio dell’uomo.
Foto di copertina, Monteverde.