Aprile 18, 2024

I santuari ed i templi a pozzo nell’era Nuragica-II_di Tarcisio Agus

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Ci siamo lasciati nella prima parte parlando dei riti legati all’acqua, che ancora perdurano, e della benedizione delle palme, da cui prende il nome l’omonima domenica. Un rito cristiano che mantiene nel suo più profondo ancestrale un richiamo alla superstizione, in quanto i rametti d’ulivo e di palma benedetti entrano nelle nostre case come elemento protettivo della famiglia e delle cose a noi care.

Del rito delle acque, che si perde nella notte dei tempi, richiamo brevemente l’immersione che si praticava nella antica fonte a Guspini, nota dapprima come “Mitza Sumius” (Fonte che trasuda), successivamente, in fase cristiana, come “Mitza de Santa Maria” (Fonte di Santa Maria).

Anche le fonti, come i templi a pozzo, in fase nuragica venivano considerati luoghi sacri, con la differenza che i pozzi captavano le vene freatiche, mentre le fonti quelle sorgive in campagna. Fra le fonti più note in Sardegna si ricorda Su Tempiesu ad Orune, per la buona conservazione e l’architettura che ci rimanda alla tecnica di copertura dei pozzi sacri.

Nella nostra fonte “Simius” l’acqua trasudava e trasuda ancora da una parete granitica. Si narra che i monaci bizantini presenti a Guspini, a far data dal VI -VII secolo, praticassero il rito della Aghiasma, che consisteva nell’immersione del malato nella vasca lustrale, ove avvenivano i riti della purificazione ed espiazione. Della fonte Simius si mantengono ancora i resti originari del canaletto di alimentazione e della vasca, via via nel tempo sia stata ampliata, coperta da una volta a botte e dotata di rubinetti. Ricordo ancora le donne portare la brocca in equilibrio sulla testa, poggiante su un panno arrotolato a mo di ciambella (Tedibi), le più forti ne portavano una seconda poggiata sull’anca.

Ingresso delle feste – Santa Vittoria – Serri

Il rito dell’Aghiasma a Guspini pare si sia mantenuto secondo la forma bizantina sino al XII secolo, ma anche dopo la scomparsa del rito i guspinesi non si sono allontanati dall’antica fonte sorgiva, che è stata frequentata sino ai giorni nostri. In particolare vi si attingeva l’acqua per uso domestico, ed una parte di essa veniva custodita nella propria abitazione perché considerata sacra, gli emigranti che tornavano in paese per la festa dell’Assunta, non ripartivano prima di aver attinto l’acqua necessaria ad effettuarne il rinnovo. Uno degli usi più praticati dell’acqua della fonte “Simius” era il lavaggio degli occhi, con molta probabilità legato all’insorgenza della cataratta o dell’occhio secco.

Nei santuari non si svolgevano solo i riti dell’acqua, ma loro articolazione favorisce il ricordo di incontri e funzioni legate alla vita delle comunità che vi gravavano. Restiamo al santuario di Santa Vittoria di Serri, anche se questi aspetti sono comuni in tutti i santuari, e troviamo il grande recinto porticato, un complesso dotato di diversi ambienti, che il Prof. Lilliu ricorda destinati al commercio, i centri commerciali ante litteram, dotati di nicchie e armadi, a ricordarci i box dei nostri mercati.

Da quegli ambienti, di diverse dimensioni, gli scavi hanno restituito manufatti in pietra (macine, pestelli, picozze, accette, teste di mazza, coti), utensili e armi di bronzo (bipenni, pugnaletti, cuspidi di lancia), elementi ornamentali ( spilloni, armille, anelli, statuette di bronzo, dischetti d’ambra, grani in pasta vitrea) ed una grande quantità di stoviglie d’uso domestico ( pentole, ciotole, tegami, vasi, lampade ect.). Insomma un vero e proprio mercato dove probabilmente si trovavano anche elementi di uso domestico prodotti in legno, lana e pelli, andati distrutti a causa della scarsa conservazione nel tempo, nonché prodotti alimentari.

Non mancavano i focolari lungo i porticati ove si consumavano le libagioni. Altrettanti focolari li troviamo all’interno delle capanne presenti nell’ampio recinto circolare, luogo dedicato anche ad arena e agli spettacoli, allietati dal caratteristico suono delle Launeddas (antico strumento in grado di produrre polifonia grazie alle sue tre canne, alimentate con la tecnica del fiato continuo).

Le capanne con focolare si presume fossero i luoghi di soggiorno dell’alto ceto. Oggi potremmo accostarle agli spazi di abitazione temporanea dette“Cumbessias” o “Muristenas”, casupole erette in fase medioevale presso i santuari per ospitare le famiglie nei gironi della festa e che ancora troviamo frequentate in diversi luoghi della Sardegna, compreso quello di Santa Cristina a Paulilatino.

Un’altra parte del complesso di Santa Vittoria ci riporta al gruppo del recinto a doppio betilo, costituito da nove ambienti di varie dimensioni, considerato un piccolo complesso di abitazioni private, il più vasto degli ambienti era il luogo di culto, a rappresentare una coppia divina, forse la Dea Madre ed il Dio Toro del periodo prenuragico.

Particolare era senza dubbio, per la sua funzione, la presenza, al di fuori del complesso architettonico destinato alle feste, la capanna delle Assemblee federali, un imponente edificio capannicolo di 15 metri di diametro con tetto a scudo. Il sedile a giro poteva ospitare una cinquantina di persone, dove sedevano, come ci ricorda prof. Lilliu:” i notabili e le rappresentanza delle tribù convenute alla grande assise religiosa e politica, alla festa ed al “conventus” federale”.

Il santuario di Serri, più di ogni altro, ci permette di conoscere l’articolazione complessiva dei santuari nuragici in Sardegna, dato che purtroppo non tutti hanno mantenuto le tracce di insieme, ma è da ritenersi che tutti avessero la medesima articolazione.

Per stare al nostro breve articolo possiamo affermare che anche il pozzo di Santa Cristina a Paulilatino e Santa Anastasia a Sardara erano parte integrante dei rispettivi santuari.

Dello storico e più visitato santuario di Santa Cristina a Paulilatino l’elemento più significativo è senza dubbio il suo pozzo sacro o tempio a pozzo. La forma del pozzo è pressoché simile in tutti i santuari, anche se questo si distingue per la sua perfetta geometria con conci basaltici finemente squadrati, sia nella camera a Tholos che nella scala a sezione trapezoidale, con muri aggettanti che raggiungono l’altezza di ben 7 metri. La scala è composta da 25 gradini che si restringono sino a raggiungere la cella, in un contesto suggestivo ricoperto da architravi con effetto di “scala rovesciata”.

L’area del santuario conserva ancora tracce della sua articolazione ed anche qui è possibile visitare la “Capanna delle riunioni” sala con diametro di 10 metri e sedile circolare, nonché gli alloggi per i maestri del culto e le botteghe del mercato. Santa Cristina, come abbiamo già detto, è considerato un luogo di osservazione astronomica. Diversi studiosi affermano che anche il sole come la luna, svolgeva entro il pozzo funzioni di calendario, tanto che nelle due giornate dell’equinozio di primavera, 18/22 marzo, e di autunno, 21/23 settembre, il sole illumina perfettamente la lunga scalinata riflettendosi sull’acqua e l’ombra dell’eventuale presenza umana viene riflessa sulla parete della Tholos capovolta.

Santa Anastasia – Sardara

Del santuario di Santa Anastasia a Sardara, pur essendo l’area pienamente urbanizza con l’espansione di un quartiere dell’abitato, si possono ammirare il pozzo sacro (chiamato dai sardaresi Sa funtana de is dolus, la fontana dei dolori) realizzato con conci basaltici e calcare, nonché parte del grande recinto curvilineo fiancheggiato da un lungo camminamento lastricato. Sotto le attuali abitazioni sono le capanne del santuario, alcune ancora fruibili, come la Sala del Consiglio, con il suo sedile che corre lungo il muro perimetrale. Questa capanna ha restituito elementi di arredo come l’altare in pietra, a forma di torre nuragica, sulla cui sommità, nella conca, si bruciavano essenze profumate. Altri reperti considerati unici nel mondo nuragico sono emersi dal suo ripostiglio in un orcio contenente 25 manufatti in bronzo, di cui alcuni integri, come armi ed utensili da lavoro. Ma i reperti più interessanti sembrerebbero i tre bacili in bronzo con ansa a bracciolo di loto o di giglio. Interessante è stata la scoperta emersa dalle analisi di laboratorio che riguarda l’uso dello zinco in età nuragica, utilizzato per trasformare il colore rosso del rame in colore giallo dell’oro.

Ancora altri reperti provengono dalla “capanna 1” cheha restituito 22 chilogrammi di pezzi di lingotti, una parte dei quali in ramedel tipo cipriota “Ox – hide” e del tipo a focaccia e a conca,mentre dalla “capanna 4” sono emerse matrici di fusione in terracotta, che conservano ancora i chiodi in bronzo. I reperti possono essere ammirati nel museo “Villa Abbas” nella stessa cittadina di Sardara. Anche in questo santuario, come a Santa Vittoria e Santa Cristina troviamo l’edificio bizantino, con l’edificazione della chiesa cristiana, che insiste sull’area dell’antico santuario.

In copertina: Pozzo sacro di Santa Cristina – Paulilatino

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