Marzo 29, 2024

Una scuola per tutti e a misura d’uomo_intervista di Jacopo Pitzalis a Laura Caddeo

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On. Caddeo, Lei proviene dal mondo della scuola. Qual è la situazione in questo momento post- pandemico?

In tutta Italia la situazione è critica. E non necessariamente possiamo imputare tutto alla pandemia, che sicuramente ha peggiorato gli aspetti relativi alla socializzazione e all’autostima dei ragazzi minando fortemente lo sviluppo socio-psicologico degli studenti, ma la scuola italiana ha problemi di origine atavica, non riesce a colmare le diseguaglianze e la dispersione e l’abbandono scolastico sono fenomeni costanti se non addirittura in aumento. È aumentata la disaffezione dei ragazzi e delle famiglie nei confronti dell’istituzione. Numerose indagini statistiche mostrano che è in aumento anche la dispersione implicita quella cioè relativa a coloro che si diplomano e si laureano senza che siano riusciti a raggiungere le competenze previste per il proprio titolo di studio. Attualmente sono circa il 10% dei maturati che si ritrovano in queste condizioni, e quello che ci preoccupa di più è che siano coinvolti prevalentemente studenti provenienti da contesti sociali a rischio.

La classe docente è sotto attacco per non riuscire a empatizzare con gli studenti e per essere demotivata. Qualcuno propone di introdurre la valutazione psico-attitudinale per diventare docenti, Lei cosa ne pensa?

Prima di tutto, eviterei le generalizzazioni. Abbiamo una scuola primaria che resta ancora di primo livello e consente ai bambini di raggiungere gli obiettivi previsti dal curriculum per quel ciclo scolastico, in maniera sufficientemente omogenea. Il peso delle diseguaglianze inizia a manifestarsi in particolare durante la scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il modello gentiliano, che persiste da cento anni in troppe realtà scolastiche comporta che i processi di innovazione della didattica siano lenti e soprattutto a macchia di leopardo. La scuola di oggi sottovaluta che gli studenti vivano in una realtà ibrida, sia reale che virtuale, e che a breve potrebbero vivere anche una terza realtà, quella del metaverso. Mancano le infrastrutture affinché la scuola possa gestire il carico dei cambiamenti, ma senza una riforma del ciclo della secondaria e un innalzamento della qualità dell’insegnamento/apprendimento ogni intervento è lasciato alla buona volontà e alla lungimiranza delle eccezioni. Per riuscirci dobbiamo garantire una rigorosa formazione per i futuri insegnanti basata non solo sull’epistemologia della disciplina, ma anche sulla psicologia dello sviluppo e sulla pedagogia.

Lei parla molto di dispersione scolastica. È un problema strutturale, un problema sociale, un problema delle famiglie di origine degli studenti, o cosa?

La dispersione e l’abbandono nascono dal fatto che l’istituzione non riesce a colmare le diseguaglianze che esistono nella società. I bambini e le bambine che provengono da famiglie con fortissimi problemi economici restano privi degli strumenti per affrancarsi dal disagio della condizione di subalternità a cui sono sottoposti. Don Milani affermava che non c’è risposta più diseguale che fare parti uguali tra diseguali, e noi molto spesso commettiamo proprio questo errore, un po’ perché le classi sono troppo numerose, un po’ perché il concetto di personalizzazione dell’insegnamento resta molto spesso solo nei documenti, a partire da quelli ministeriali. Vorremmo tutti che ogni studente esprimesse la propria unicità, ma talvolta offriamo loro lezioni frontali, uguali per tutti, e non sappiamo scommettere su modelli educativi e didattici che pure esistono e che saprebbero meglio garantire le capacità critiche dei nostri alunni.

Ci sono modelli che Lei prenderebbe come esempio?

Assolutamente sì. Inizierei con il tempo pieno, che manca al Meridione per ragioni economiche sia delle Regioni che delle famiglie. Impronterei la necessità della scuola a tempo pieno slegandolo dal welfare per la donna lavoratrice, centrandolo sull’opportunità formativa per lo studente. Nelle nazioni anglosassoni chi è benestante riesce a godere dei benefici della cosiddetta “shadow education” che migliora i risultati scolastici. È evidente che in una società che vuole contrastare le disuguaglianze dovute al censo, la shadow education deve essere offerta a tutti. Ecco perché il tempo pieno è fondamentale, ma deve essere un tempo pieno di stimoli formativi e culturali ad ampio spettro e nelle modalità meno formali possibile.

In secondo luogo, proporrei la diffusione generalizzata degli asili nido, facendo tesoro degli studi che dimostrano che il processo educativo e formativo precoce riduce le disuguaglianze di partenza creando le condizioni fin da subito per contrastare efficacemente e speriamo definitivamente la dispersione scolastica.

Intende dire che estenderebbe l’obbligo scolastico a partire dai 6 mesi?

Lo toglierei certamente dall’alveo dei servizi ritenuti indispensabili per consentire alle donne di lavorare. L’asilo nido deve essere a tutti gli effetti un segmento di scuola dove i bambini e le bambine iniziano il loro percorso di formazione e di crescita psicofisica. Ritengo comunque che l’obbligo scolastico debba estendersi fino al conseguimento del diploma.

La scuola superiore e l’università dovrebbero essere molto vicine come istituzioni, anche se questo è percepito solo da chi frequenta un liceo. Ultimamente gli studenti universitari si lamentano che le Università si stiano trasformando in licei aggiornati, con docenti che non lasciano libero spazio all’esplorazione di se stessi, alla gestione e alla formazione della propria persona. Cosa sta accadendo?

Il discorso è complesso, ma partiamo dal dire che lo studente giunge all’Università quando già il percorso di formazione della sua personalità dovrebbe essere compiuto, quindi con la capacità di riconoscere i propri punti di forza e anche quelli di debolezza. I dati ci dicono, per , che sono numerosi gli studenti che cambiano facoltà nel primo anno di corso e molti ancora al termine del primo biennio. Accade anche al passaggio dalla scuola media alle superiori. È evidente che c’è un problema di Orientamento, che non è solo la vetrina che annualmente si propone al termine della scuola media e al termine delle superiori quando ogni istituto secondario e ogni facoltà fa la promozione di se stesso. L’orientamento dovrebbe derivare direttamente dal percorso di formazione della personalità nel quali gli individui sono immersi da quando iniziano a frequentare l’istituzione scolastica. Torniamo all’importanza di un processo formativo personalizzato che consenta a tutti, indistintamente, di realizzare al massimo le proprie potenzialità e di saperle utilizzare nella vita reale. Evidentemente molti studenti arrivano invece all’Università senza avere avuto modo di conoscersi e di vedersi proiettati realisticamente nel proprio futuro. Appare evidente che nella scuola e nell’Università si stia dando per scontato quel percorso di Orientamento che invece deve accompagnare l’individuo in formazione per il tempo stesso della formazione supportandone la capacità di autoanalisi e di autovalutazione.

Ma un insegnante come vede la scuola? Questa garantisce un lavoro dignitoso, appagante e economicamente in grado di fornire tutto per crearsi una vita indipendente?

No, la scuola non garantisce più la possibilità di pianificare la propria vita, di crearsi una propria famiglia.

O quanto meno, iniziare un percorso di insegnamento non dà più la garanzia che diventi a tempo indeterminato in poco tempo. Esiste un precariato che per molti docenti pu  raggiungere anche più di quindici anni. Se si aggiunge che gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa, c’è da chiedersi perfino come mai molti laureati continuano a voler svolgere questa professione che è anche tra le più esposte a burnout psicologico. Ma non possiamo al contempo, non renderci conto che quando parliamo di innalzare la qualità dell’apprendimento, la formazione, l’aggiornamento in servizio, le modalità di reclutamento e le prospettive di carriera dei docenti non sono una variabile irrilevante. Ecco perché una società che davvero voglia investire in istruzione, in formazione e cultura deve curare in modo rigoroso la funzione docente in maniera che per nessuno diventi la scialuppa di salvataggio rispetto alla disoccupazione. Occorre per  che ai docenti vengano dati tutti gli strumenti e le condizioni necessarie per essere degli ottimi insegnanti e l’aggiornamento gratuito è una delle condizioni imprescindibili così come classi meno numerose, scuole sicure e attrezzate in maniera da favorire l’innovazione didattica.

Lei è una attenta alle fragilità, ma sappiamo che la scuola prima di parlare dei propri problemi impiega tempo. È già successo con il bullismo, sta succedendo ora con l’omobitransfobia, le discriminazioni sull’identità di genere e il mancato diritto all’educazione sessuale.

Sarebbe un miglioramento della didattica e della formazione dell’individuo se venissero introdotti gli argomenti nel percorso formativo?

Quelli che citi sono tutti elementi di innalzamento della qualità dell’apprendimento di cui parlavo. Integrare nell’insegnamento tutte le materie che concorrono alla costruzione della personalità e che lambiscano tutte le sfere delle vita dell’individuo sono da considerarsi fondamentali nel processo di sviluppo di un individuo. Il concetto più pertinente è quello dell’inclusione che non accetta eccezioni di nessun tipo. Diventa così molto più arduo creare un unicum formativo che prevede la trasmissione della cultura. Non affrontare con determinazione problemi come quello del bullismo e ora anche del cyberbullismo ha generato solamente dolore per i ragazzi che li hanno subiti e sfiducia nei confronti delle istituzioni, scuola compresa.

Nella relazione insegnamento-apprendimento si deve curare la globalità della persona, in tutte le sue sfere, compresa quella di una scientifica educazione alla sessualità che tante violenze, abusi e prevaricazioni eviterebbe, e la scuola deve avocare a sé questa funzione. Tuttavia, con il tempo il rapporto tra scuola e famiglia si è incrinato, i genitori sono sempre più assenti o scettici sul reale contributo della scuola nella crescita dei propri figli non partecipano più agli organi collegiali – per i quali servirebbe ormai una radicale riforma – ed è sempre più complicato stabilire una proficua alleanza tra scuola e famiglia. Dobbiamo riconquistarla attraverso una scuola moderna, preparata, capace di cogliere i cambiamenti sociali e le nuove esigenze di formazione e di sapere.

Nelle periferie, nelle aree rurali, la scuola resta come un baluardo per crearsi un futuro prospero e migliore. Questa percezione della scuola è stata leggermente persa nelle aree di maggiore agiatezza. Perché?

Non sono del tutto d’accordo con questa lettura, eppure è vero che nelle aree dove si concentrano le sacche di povertà le scuole siano un investimento non solo economico, ma anche sociale e culturale. Laddove l’accesso alla cultura nelle forme della letteratura, delle arti visive, del cinema e del teatro è più improbabile da raggiungere, la scuola si fa carico delle aspettative sociali che in altri centri sono fornite da altri contesti. Bisogna considerare comunque che ci sono aree, come le periferie delle città più grosse, in cui le famiglie, nel tentativo di far uscire dall’emarginazione e dall’isolamento i propri figli hanno rinunciato ai presidi scolastici nel quartiere. È purtroppo questi presidi non sempre e non ovunque sono stati sostituiti da centri di aggregazione culturale che oltre ai giovani avrebbero potuto attrarre la popolazione degli adulti contribuendo a quella educazione permanente che potrebbe essere la risposta più importante contro lo spopolamento e contro l’isolamento, creando nel contempo opportunità di lavoro, di sviluppo economico e di crescita culturale.

Lei è a favore dell’Università senza tasse, sostiene una Riforma del ciclo degli studi, la capillarizzazione degli asili nido, ma i fondi per realizzare tutto dove dovrebbero essere trovati?

Non sono in grado di fare una previsione su due piedi, ma sono convinta che se dallo Stato centrale e della regione si avesse una maggiore cura delle finanze e si evitassero le dispersioni nei finanziamenti, si combattesse veramente la criminalità e l’evasione fiscale, si realizzasse una tassazione progressiva, si rendessero l’istruzione e la sanità delle priorità reali per le comunità, i fondi non solo sarebbero sufficienti, ma io sono certa che riusciremmo a ridurre il debito pubblico e a creare concreto benessere per tutti..

Non possiamo più fare la cresta sulla pelle dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze e dei cittadini che soffrono. Nel nostro Paese si iscrivono all’Università solo 7 diplomati su 10 e il numero dei laureati ci colloca in fondo alle classifiche europee. Lo Stato deve prendersi carico di tutti e specialmente avere riguardo per i giovani, talentuosi e intelligenti che non sono desiderosi di altro se non di premere il bottone di quel tanto decantato ascensore sociale a cui non possono accedere per la miopia, l’egoismo e l’incapacità della nostra politica.

Se dovesse dare un consiglio all’attuale Ministro dell’Istruzione, entrato nel vivo del dibattito pubblico con le sue affermazioni?

Conosco poco il curriculum nel mondo della scuola dell’attuale Ministro, se non della sua parentesi come dipendente ministeriale. Ma a prescindere da questo, viste le sue ultime dichiarazioni e le sue proposte, consiglierei vivamente di concentrarsi sui sacri testi della psicologia dello sviluppo e gli proporrei un corso accelerato di pedagogia, di antropologia e di sociologia per evitare discorsi rivolti alla pancia della gente e lontani dai bisogni del mondo della scuola. Per quanto riguarda il riferimento che ha fatto all’umiliazione come modalità educativa, confido in un refuso, ma se così non fosse servirebbe a tutti noi per poterlo qualificare.

Ha un ultimo argomento di cui vorrebbe parlare?

Vorrei solo fare una sintesi. Una Nazione, una regione, o meglio, una comunità che non valorizza né potenzia l’istruzione e la formazione dei propri cittadini, è una società che indebolisce l’autodeterminazione, che non promuove il pensiero critico, che indebolisce la democrazia. Memento.

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