Il signor Claudio Ranieri: l’uomo che ha saputo restituire al calcio la dignità di sport_di Giuseppe Melis
Diciamoci la verità, sembrava un’impresa impossibile, anche a lui, nonostante il ruolo gli imponesse di mandare messaggi positivi sia verso l’interno che all’esterno della società. Se non fosse stato così non avrebbe pianto a singhiozzi come un bambino al fischio finale dell’arbitro Guida. Tutti, nessuno escluso attribuiamo a lui il maggior merito di questo risultato, sperato ma dall’esito incerto fino a quel fatidico 94° minuto in cui due dei suoi giocatori più criticati dal pubblico, Leonardo Pavoletti e Gabriele Zappa, hanno confezionato la magistrale azione del goal della vittoria.
Dobbiamo però riconoscere tutti indistintamente che se anche non fosse arrivato il goal della vittoria, i tifosi del Casteddu sarebbero stati ugualmente contenti, come è facile dimostrare leggendo i tanti post nei social network nei quali, già dopo la partita di Cagliari conclusasi con un deludente pareggio, si è ringraziato il mister per quel che ha saputo fare in appena 6 mesi: restituire fiducia e dignità a un ambiente depresso, non solo e non tanto per i tanti mancati risultati sportivi ma per come essi erano maturati per almeno tre anni fino a quel momento.
Sacrificio, umiltà, sobrietà, rispetto, sono tutte parole d’ordine che fanno parte del quotidiano vocabolario di questo signore romano nato nel quartiere di Testaccio che ha mietuto successi in tante piazze europee, anche dai nomi altisonanti. La grandezza dell’uomo, a dispetto dei titoloni di giornali che, anche oggi, lo qualificano come “re”, è invece proprio quella dell’essere un “Signore”, sir Claudio, come scrivono correttamente gli inglesi che misurano la qualità di una persona dal suo essere Signore, senza bisogno di ricorrere a titoli che in qualche caso, come quello di re, sarebbero persino offensivi per uno come lui. La gente non ha bisogno di re, vuole avere a che fare con persone schiette, oneste, che sappiano vivere e soffrire come tutti, che sappiano piangere e gioire per ciò che si è e per l’impegno profuso nell’adempimento delle proprie mansioni e ruoli.
Ecco perché in un mondo nel quale il calcio è diventato altra cosa rispetto allo sport, dove soprattutto in questi mesi i sardi e tanti italiani hanno toccato con mano come l’interesse per il potere e per il denaro hanno portato negli anni talune società, soprattutto blasonate, a giustificare qualsiasi mezzo per vincere, a dispetto della lealtà che dovrebbe essere il principio cardine di uno sport, Claudio Ranieri emerge prepotentemente come l’antidivo per eccellenza. Non è un caso che i successi più belli del signor Claudio Ranieri siano quelli conquistati con squadre come Leicester e il Casteddu. Questa promozione del Casteddu in serie A è una parentesi felice in un mondo, quello del calcio, che dovrebbe essere rivoltato dalla base nella riscrittura delle regole che lo presiedono per riportarlo alla natura di evento sportivo. Regole che sono certo mister Ranieri approverebbe: budget uguale per tutte le squadre, tetto massimo agli ingaggi dei giocatori, numero massimo di giocatori tesserabili e senza prestiti, periodi ristretti di calcio mercato e al di fuori di quelli in cui si gioca. Solo in questo modo il calcio può tornare a essere uno sport.
La gioia di questa giornata risiede nell’insieme delle emozioni che si provano proprio perché si ritorna alle radici dell’umanità. Questa mattina, mentre venivo in ufficio, scorrevo le immagini del dopo partita di ieri, nello stadio, negli spogliatoi, nel pullman, in aeroporto, nelle piazze di Cagliari, di Carbonia, di Oristano e chissà di quali altre città e paesi della Sardegna intera e dell’Italia. Mi scendevano le lacrime rivedendo quelle di Claudio Ranieri, la gioia dei giocatori e quelle di tanti, sardi e non, che hanno provato gusto e piacere nel vedere che nel calcio c’è ancora un pizzico di sport.
Unu popolu, una terra, un’iscuadra, una natzioni. Fortza Casteddu.